Capitolo 47 - Fratelli

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Faraji camminava lungo il corridoio del Clan delle Volpi Nere. Non era ancora giunta l'alba e il mondo fuori dalle finestre era avvolto da un alone di tenebra. Si era svegliato pochi minuti prima e, dopo essersi guardato attorno, si era accorto che Shin non c'era. Gli altri membri del Clan dei Lupi erano tutti addormentati e non si erano svegliati neppure quando lui era uscito dalla stanza per andare a cercare suo fratello.

Sbuffò, indeciso sulla direzione da prendere. L'edificio, enorme e circolare, contava diversi piani, tantissime stanze, sale comuni, bagni e perfino una mensa. Tra le varie ipotesi a cui aveva pensato ce n'era una che aveva scartato, ma che continuava a riproporsi: che lui fosse con Asher. Era impossibile, perché Shin non era il tipo da tenere il piede in due scarpe, come avrebbe detto Baba, e sembrava veramente legato a Claymore, eppure non si sentiva di escludere del tutto quell'idea. Asher aveva fatto tanto per loro in quei giorni, li aveva curati, aiutati. Aveva dato loro una casa, anche se temporanea. Nonostante l'odio che provava nei suoi confronti, non poteva ignorare il suo sostegno.

Come se la parte più oscura di sé non potesse accettare quei pensieri, davanti agli occhi rivide il passato: Shin attaccato a delle macchine, incapace di parlare, incapace di muoversi o reagire. Avevano speso una fortuna per recuperare quei dispositivi avanzati e solo grazie all'aiuto di Marie erano stati in grado di utilizzarli.

«Perché non si sveglia?» aveva chiesto alla ragazza, dopo un paio di settimane in cui non si vedevano miglioramenti. «La ferita si è rimarginata, dovrebbe svegliarsi.»

«Non so come mai» gli aveva risposto Marie, affranta, «credo che questo stato di coma sia dovuto al trauma, come se il corpo di Shin avesse messo in pausa tutte le funzioni, come dire, non essenziali, per concentrare le energie residue per guarire.»

Faraji aveva annuito, mentre le emozioni erano sempre più un groviglio confuso nella sua mente. Il fulcalm lo aveva aiutato a tenere sotto controllo l'energia del fulcrum, ma si sentiva come in una bolla, come se ogni sensazione fosse schermata e attutita. Il dolore e la solitudine erano stati sostituiti da un'apatia crescente. Mangiava poco, non usciva, e ogni volta che avvertiva il dolore aumentare, inghiottiva una pastiglia per metterlo subito a tacere.

Il giovane sapeva che erano tutti preoccupati per lui, perché preferiva quel conforto illusorio alla sua famiglia. Aveva troppa paura di soffrire, troppa paura di affrontare quella situazione. Guardare suo fratello sdraiato nel letto e accettare la possibilità che avrebbe potuto non risvegliarsi mai.

E invece era successo. Una mattina, Faraji era entrato in camera e aveva visto le sue dita che si muovevano. Poi le ciglia avevano sfarfallato debolmente, finché non aveva ripreso i sensi. Solo allora Faraji aveva capito il suo errore. Annebbiare i sensi grazie al fulcalm non era la soluzione ai suoi problemi, ma il modo più facile per non affrontarli. Si era impegnato tanto e Shin lo aveva aiutato. Si erano aiutati a vicenda. Certo, non era stato un percorso semplice, ed erano occorsi tempo e sacrifici, ma alla fine era riuscito a superare lo scoglio della dipendenza. Le persone al suo fianco non lo avevano giudicato, né avevano biasimato i suoi gesti e le sue scelte, ma lo avevano preso per mano e lo avevano accompagnato in quel percorso di guarigione.

La morte di Baba, Gun e Jade aveva riacceso l'angoscia dentro di lui, ma nell'istante in cui aveva ingerito il fulcalm, aveva rammentato quella lezione così preziosa che aveva imparato.

Non poteva lasciarsi andare.

Non poteva cadere di nuovo.

Provava dolore e rabbia, ma le accettava senza che queste emozioni avessero la meglio su di lui.

Il giovane si bloccò, accantonando momentaneamente quei pensieri. Senza volerlo aveva raggiunto il corridoio che portava alla stanza di Asher. Prima che potesse avvicinarsi alla porta per bussare, vide Asher sopraggiungere dalla parte opposta con le mani nelle tasche. Il Capoclan inarcò un sopracciglio quando lo notò e si fermò a pochi passi da lui.

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