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18 marzo 20XX

Quando mi svegliai rimasi stupita dal non trovare Mitsuki ai fornelli come ogni mattina, al punto che quasi mi preoccupai. Poi, però, vidi un bigliettino sopra al bancone della cucina che riportava degli ideogrammi e una scritta in inglese. Dopo essermi accorta che quest'ultima era nient'altro che la traduzione dei kanji, la lessi.

"Hi Jade,
we went out together soon this morning. We'll be back for l̶a̶u̶ lunch. Cheers!
Mitsuki and Masaru"

Riposi il bigliettino sul tavolo e iniziai a pensare a cosa mangiare per colazione. Poiché il riso non mi andava molto (e non ero nemmeno brava a prepararlo), decisi di prepararmi dei pancake. Trovai a fatica gli ingredienti in giro per la cucina (possibile che non avessero latte normale? Non avevano le mucche a Tokyo?), e la mia fame non faceva che aumentare ogni minuto che passava. Ruppi le uova e le sbattei, poi aggiunsi farina, zucchero, uno strano olio che dovetti usare al posto del burro, del latte di riso e un po' di lievito (o meglio, quello che pregavo fosse normalissimo lievito). Avevo appena versato l'impasto per i primi pancake sulla padella quando sentii i pesanti passi di Katsuki che scendeva dalle scale.

«Konnichiwa.» lo salutai senza guardarlo. «Dormito bene?»

«Che cazzo stai facendo?» rispose con la sua tipica pacatezza.

«I pancake.»

Fece un verso seccato. «Mi fanno cagare, i pancake.» protestò mentre si allontanava.

«Cosa?» domandai esterrefatta voltandomi verso di lui. «È impossibile. Non sarai mica a dieta?»

«Non li voglio, mangiateli tu.» brontolò sedendosi al bancone e prendendo una mela.

D'accordo, non eravamo migliori amici, ma ci rimasi molto male a vedere che non voleva neanche provare ad assaggiarli. Dopotutto mi ero impegnata, poteva essere almeno un po' riconoscente...

Nonostante mi trovassi in quella casa da neanche due giorni, avevo già capito che tra me e Katsuki non scorreva buon sangue. Lo capii dallo sguardo che aveva posato su di me quando era entrato in casa e mi aveva vista seduta al bancone della cucina con mia madre e Mitsuki. Questa mia idea trovava conferma ogni giorno, nei piccoli gesti della quotidianità.

Ad esempio, nello stesso giorno Mitsuki tornò a casa stupita del fatto che il pranzo non fosse pronto: lo aveva chiesto a Katsuki in mia assenza, perciò non potei neppure agire al posto suo. La faccenda si concluse con una sgridata d'ordinanza da parte della padrona di casa e una risposta strillata con la stessa energia dal figlio. Nel pomeriggio, a mio rischio e pericolo, gli chiesi nel modo più disinteressato possibile perché non aveva fatto quello che gli era stato detto. Mi rispose con un "nessuno mi dice quello che devo fare", fin troppo prevedibile e scontata come reazione da parte sua.

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