#28 Thomas

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Sono un emerito cretino. Stavo quasi per farcela, non che fosse una cosa tanto difficile. Dovevo solo aprire la bocca e dire: "Ehi, Audrey. Grazie per questa notte." Conoscendomi, potevo anche accontentarmi di un semplicissimo: "Ehi, grazie." Ma le parole si sono bloccate da qualche parte in fondo alla gola, facendomi fare come al solito la figura dello stronzo patentato. Vederla così arrabbiata mi ha un po' scosso, in qualche modo. Da una parte sono dispiaciuto, penso che molti ragazzi al posto mio farebbero qualsiasi cosa per una ragazza carina come lei. Però devo ammettere che vederla così arrabbiata mi ha fatto quasi divertire, forse sono davvero malato. Sono anche un po' seccato: conosco Audrey da pochissimo tempo e sta già occupando molti dei miei pensieri, non va affatto bene. Scuoto la testa come per far uscire i pensieri su di lei dalla mente.

Parcheggio davanti a casa e faccio un respiro profondo, ora dovrò beccarmi anche una ramanzina. Apro la porta cautamente, sperando di non svegliare Allyson e Bart, nel caso stiano dormendo. Richiudo la porta accompagnandola delicatamente, in modo che non faccia rumore, poi mi giro e mi ritrovo Allyson davanti, le braccia incrociate e lo sguardo torvo. E siamo già a due, penso amareggiato. Cosa farò mai alle donne per farle arrabbiare così? Mi faccio un rapido esame di coscienza e sospiro, abbassando il capo, con fare contrito. Allyson è sul piede di guerra. Apre la bocca e sento già che stanno arrivando una valanga di proteste sul mio comportamento immaturo ed egoista. La interrompo con un gesto repentino della mano, facendole segno di non andare oltre. Guardo il soffitto come se potesse darmi la forza, cosa ovviamente assurda. La fisso negli occhi e cerco di uscire da questo casino.

"Okay. Lo so, avrei almeno potuto mandarti un messaggio, telefonare, o anche solo risponderti. Non volevo davvero farti preoccupare, mi dispiace." La vedo abbassare la guardia, nonostante rimanga a braccia conserte davanti a me. Sembra che stia aspettando che io dica altro. Sospiro esasperato. "Scusa." Dico a denti stretti, mandando giù l'amaro sapore dell'orgoglio ferito. "Non accadrà più." Aggiungo a fatica. Annuisce soddisfatta, addolcendo lo sguardo. "Mi preoccupo per te, Thomas. Tutto qui." Conclude, senza troppe cerimonie. Annuisco cupo, incamminandomi su per le scale.

La mia stanza è avvolta nella penombra, io sono ancora spossato e la testa mi fa malissimo. Cerco un'aspirina nel cassetto del comodino, senza trovarla. Mi lascio cadere a terra sfinito, rinunciando all'impresa. Rimango seduto a cercare di ricomporre i pezzi della notte che mi sono fortunatamente appena messo alle spalle. Sono quasi sicuro di aver parlato ad Audrey dei miei genitori biologici, non sono proprio capace di tenere chiusa la mia boccaccia.

Lo sguardo cade inavvertitamente al lato del letto,dove giace l'album dei ricordi, ancora nel punto in cui l'avevo scaraventato.Allungo una mano e lo afferro, tenendolo ancora tra le mani. Passo una manodelicatamente sulla copertina, alzandola e iniziando a sfogliare l'albumlentamente, cercando di ignorare la morsa dolorosa allo stomaco.

Le primeimmagini sono le più difficili da sopportare. Mia madre guarda l'obiettivoserena, con la pancia rotonda e prominente, poi con me in braccio sorride congli occhi pieni di gioia. C'è anche una foto con mio padre. Mi tiene in bracciodavanti alla facciata della nostra casa e sorride all'obiettivo. Guardo il mioritratto di quando avrò avuto tre anni, in mano un cono gelato più grande di mee la faccia tutta impiastricciata, in braccio a mia madre che ride contenta. Lafoto seguente mi strappa un sorriso. Mi vede immortalato nella gioia piùautentica, mentre in braccio a Babbo Natale guardo con gli occhi pieni distupore i regali attorno all'albero tutto decorato. Poi ce n'è una di quandoavevo sei anni: il mio sguardo è triste e corrucciato, ma Allyson avevainsistito perché la tenessi, dato che avevo in mano una coccarda. Il mio primopremio a qualche stupida gara di ortografia.

In quell'occasione però ero tristissimo, lo ricordo bene. Mio padre non era affatto cambiato dopo quello che miamadre aveva definito un 'lungo viaggio'. Mi aveva appena rimproverato perchégli avevo rovesciato la birra nell'impeto di mostrargli il mio premio e strappandomelodalle mani lo aveva lanciato a terra. La mamma aveva insistito per festeggiarefacendomi anche una foto, ma ormai io ero rattristato e ferito. Questo non loavevo mai raccontato ad Allyson. 

Il dolore si espande dentro di me come unveleno al quale non ho ancora rimedio. Ho un nodo in gola che non riesco asciogliere nemmeno sforzandomi di buttare fuori tutta la rabbia e l'amarezza,che rimangono intrappolate dentro di me, lasciandomi preda di un forte senso diinquietudine. Chiudo nuovamente l'album lanciandolo sotto al letto, dove sperodi non vederlo più, e rimango seduto cercando di calmarmi, con la testa tra lemani. 

Scusa ma ti chiamo BarbieWhere stories live. Discover now