#75 Audrey

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È pomeriggio inoltrato e io sono in biblioteca a fissare il nulla attraverso le grandi vetrate dell'edificio. Non ho più sentito Thomas e non capisco perché non mi risponda. Dopo un'ora passata a pensare a questo stupido tarlo prendo finalmente una decisione. Andrò da lui e vedrò con i miei occhi se ha contratto l'ebola o se fa semplicemente lo stronzo, come al solito. Prendo i libri, che hanno solo preso la polvere sul tavolo della biblioteca aspettando invano che li aprissi per studiare, li caccio con violenza dentro allo zaino e mi dirigo con passi decisi verso la mia auto.

Per fortuna Jamie non ha bisogno di un passaggio oggi, rimane al campus per una festa esclusiva alla quale mi sono stoicamente rifiutata di andare. Ormai che ho preso una decisione vorrei avere il teletrasporto ed essere già davanti a casa di Thomas, ma purtroppo davanti ho una vecchietta di centotré anni che guida come se fosse in uno stato di ibernazione.

Appena riesco a superare la simpatica nonnina, che mi manda a quel paese con molta più spigliatezza di quella che mette nella guida, mi ritrovo a seguire un autobus, che più che un autobus sembra un transatlantico. Snocciolo tutti i santi prima che si decida a svoltare, lasciandomi padrona della strada, ed è così che da quel momento prendo tutti i semafori rossi. 

Quando parcheggio davanti a casa di Thomas sono stravolta, mi sembra di aver guidato per tre giorni filati. Scendo, cercando di ricompormi e mi avvio decisa verso il mio obiettivo.

Allyson è in giardino a sistemare delle piante. Questa donna è inquietante, è in grado di fare tutto. Scommetto che ha anche appena sfornato una torta. È una di quelle padrone di casa che se non hanno una torta appena sfornata si sentono fuori dagli anni Cinquanta, il che provoca in loro un enorme senso di inadeguatezza e sconforto. Quando mi vede mi accoglie con un sorriso smagliante. 

"Ciao, mia cara! Che piacere vederti! Come stai?" mi chiede, venendo verso di me e abbracciandomi, dopo essersi tolta con un gesto elegante i guanti da giardinaggio fatti di una graziosa stoffa floreale.

"Bene, signora McCarthy. Lei sta bene? E suo marito?" cerco di essere una persona educata e a modo, ma vorrei andare al sodo e forse intuisce, dopo un po' che saltello da un piede all'altro impaziente.

"Thomas è nella sua stanza. Vai pure, sarà felice di vederti." Mi dice con modi gentili, per poi tornare al giardinaggio. 

Entro e salgo le scale, la casa è silenziosa e mi sento un po' a disagio. Arrivo di fronte alla stanza di Thomas e busso. 

"Sto bene, Allyson." La sua voce arriva ovattata da dietro la porta. Busso ancora ed entro cauta. "Ho detto che sto bene!" sbotta. Quando mi vede rimane in silenzio, sicuramente non si aspettava che fossi io.

"Scusa, mi ha fatto salire tua madre." Gli spiego, rimanendo sull'uscio.

"Cosa ci fai qui?" mi chiede freddo. Il suo tono mi offende.

"Ciao, anche per me è un piacere vederti! Io sto bene e tu?" ribatto sarcastica. Lui sposta lo sguardo. È nel letto, sotto le coperte e il suo tono gelido stona con l'immagine che rimanda. Mi avvicino.

"Sono venuta a vedere come stai. Non mi hai più risposto al messaggio." Gli dico, cercando di addolcire il tono. Non so nemmeno io perché lo faccio, ma ho l'impressione che si sia rivolto a me in quel modo perché si sente ferito, anche se non ne capisco il motivo.

"Come dicevo poco fa, sto bene." Il suo tono è ancora distaccato e inaspettatamente sento che questo mi fa star male, non riesco proprio a capire cosa gli prenda.

"C'è un motivo per cui mi tratti in questo modo?" gli chiedo, cercando di mantenere la calma. Magari c'è una spiegazione al suo atteggiamento infantile e scontroso.

"Non so, magari puoi dirmelo tu!" sbotta fissandomi con gli occhi che brillano di rabbia.

"Ecco. Allora ce l'hai davvero con me. Posso sapere che cosa ho fatto per ricevere questo trattamento? Perché sai ero venuta con le intenzioni migliori, ma mi sto innervosendo..." lo avverto.

"Beh, quella è la porta." Dice caustico.

"Scusa? Ma che cosa ti prende?" Mi avvicino ancora e lui si alza dal letto, anche se a fatica. Deve essere febbricitante, forse è nel pieno di un delirio dovuto alla febbre.

"Se ti fa stare meglio pensare che il problema sia io, fai pure!" mi grida.

"Forse non stai bene, magari dovresti fare una bella dormita... Ne riparleremo quando starai meglio." Lo redarguisco con freddezza.

"Non fare questo gioco con me. Non giocare a quella che ha il potere di scegliere come e quando discutere." Il suo tono è quasi minaccioso ora.

"Allora discutiamone. Ma se non mi dici perché ora ce l'hai così tanto con me non andremo da nessuna parte, anzi, io me ne andrò da dove sono venuta!" Mi gioco quest'ultima carta, stanca di discutere in modo così infantile.

"Lo hai baciato." Le sue parole sono come una freccia che mi coglie alla sprovvista. Incredula lo fisso. Okay, sta delirando, è evidente.

"Chi?" gli chiedo, confusa come non mai. 

Scusa ma ti chiamo BarbieWhere stories live. Discover now