#46/2 Thomas

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Attraverso a grandi passi il salone. Voglio solo andarmene da questa stupidissima festa. 

"Ehi, che fai, vai già via?" mi chiede Kimberly, trattenendomi per un braccio. Faccio un respiro profondo. Mi sento così nervoso che inizio a pensare di essere completamente fuori di testa. Spero che non si noti. Non le rispondo, così lei mi guarda seria. "Che c'è, sei fatto?" mi domanda un po' apprensiva. Tipico di Kimberly. "Ma come ti viene in mente? No!" le dico scocciato. "Sei strano. E' successo qualcosa? Dove vai così di fretta?" insiste. Alzo gli occhi al cielo, non voglio parlare di quanto sto diventando paranoico, soprattutto del perché. Non voglio diventare lo zimbello del gruppo. "Mi sto annoiando, Kim. Tutto qui." Le dico distogliendo lo sguardo. "Certo. Come no." Ribatte sarcastica. "Senti, anche io mi sono stufata. C'è Steven e non ho voglia di paranoie questa sera. Che dici se andiamo a fare un giro?" aggiunge, spostando lo sguardo in direzione del suo ex. "Vuoi che vada a rompergli l'osso del collo?" le chiedo protettivo.

Si sono lasciati perché lui l'aveva picchiata ed è stato un gran brutto periodo per la mia amica. Quello stronzo non dovrebbe essere qui, anche perché ho voglia di sfogarmi e lui sarebbe un bersaglio ideale.

"No, Thomas. Lascia perdere. Però andiamocene, ok?" mi chiede implorante. Annuisco, per poi farle strada verso l'uscita. Jace non sentirà la mia mancanza, mando un messaggio a Adele per chiederle di riaccompagnarlo a casa e di guardargli le spalle se dovesse combinare qualche cazzata da ubriacatura. 

Dopo aver girato a vuoto per la città deserta, troviamo una tavola calda aperta. Non è un gran bel posto, ma sono a corto di carburante ormai e Kimberly si lamenta da quando siamo partiti che vuole un caffè. Mi affaccio all'interno del locale, illuminato dalle luci al neon. Precedo Kimberly, che mi segue come un'ombra. Ordino del caffè e ci sediamo uno di fronte all'altra. 

"Come stai?" chiedo alla mia amica, che ha ancora un'espressione cupa sul viso. "Sto bene, anche se avrei preferito non vederlo. Avevo altri piani per questa serata." Ammette con un sorriso dolce. "Te l'ho detto, bastava una tua parola e andavo a prendere a calci quel demente." Dico facendo lo spaccone.

"Non ti stanchi mai di interpretare questa parte?" mi chiede lei. Dal tono capisco che me lo sta dicendo in modo affettuoso e mi colpisce sentire che qualcuno riesce a vedere oltre alla barricata. "Nah..." rispondo vago, con un sorriso da bravo ragazzo. "Sei strano ultimamente. Prima quei lividi..." dice accennando al mio viso ormai in via di guarigione "...e ora questo nervosismo, mi sembra che tu non stia bene in nessun posto." Afferma, guardandomi negli occhi. 

In quanto a spirito d'osservazione non posso recriminarle nulla. E ora? Che cosa dovrei dirle? Mi agito sulla sedia, che improvvisamente diventa scomoda. La cameriera ci porta il caffè e ne bevo subito un lungo sorso. "Va tutto bene Kim. Davvero. So che ti preoccupi per me, ma non serve." Cerco di rassicurarla. Lei mi guarda ancora non del tutto convinta, tenendo la tazza tra le mani. "Eppure ho come la sensazione che tu sia cambiato da quando Audrey è entrata nel gruppo. Mi sbaglio?" chiede a bruciapelo. Cazzo. Mi irrigidisco e non riesco a reggere il suo sguardo. "Credo che ora dovremmo andare a casa, sono stanco." Il mio tono è più brusco di quanto volessi. "E comunque Barbie non c'entra proprio niente con me." Aggiungo, come a voler chiudere una volta per tutte l'argomento. Lei finisce il suo caffè con l'aria leggermente offesa, mentre io lascio i soldi alla cameriera. Le faccio un sorriso stiracchiato e lei sembra ritrovare il buonumore, così usciamo dal locale, mentre fuori albeggia.

Scusa ma ti chiamo BarbieOnde histórias criam vida. Descubra agora