#58 Thomas

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Apro gli occhi e per un attimo cerco di mettere a fuoco ciò che mi circonda, spaesato. Poi tutto è improvvisamente più chiaro: sono ancora in questa maledetta sala d'aspetto. Allyson dorme accoccolata sulla poltrona al mio fianco, crollata dopo una notte d'inferno. 

Sento chiaramente la tristezza, ora. Ripenso alle parole che ho ammesso, crollando mentre discutevo con Audrey, e cerco ancora di spiegarmi come ho potuto mostrarmi così debole ai suoi occhi, anche se in fondo so benissimo che non avrei potuto in alcun modo impedirmi di lasciarmi andare con lei. Le sue parole, anche se dure, erano le parole che dovevo sentire per aprire gli occhi. La sua dolcezza, subito dopo, mi ha spiazzato. Era come se potesse entrarmi dentro e demolire con uno sguardo i muri che ho pazientemente costruito in questi anni per difendermi. Certo, ho lottato per non permetterle di farmi questo, ma alla fine, devo essere onesto, per la prima volta ho sentito che forse potevo concedermi di soffrire senza andare in frantumi. Non che ora non mi senta a pezzi, ma il pensiero delle sue parole confortanti, della sua comprensione, priva di giudizio, è come un balsamo lenitivo. 

Mi alzo dalla sedia, massaggiandomi il collo indolenzito. Mi avvio per il corridoio dove ci sono le stanze dei degenti e mi guardo intorno, è ancora presto e il reparto sembra deserto. Avvisto un'infermiera che cammina di fretta lungo il corridoio. 

"Mi scusi, la prego. Potrei entrare per vedere mio padre?" le chiedo con gentilezza, prima che passi oltre. Il medico non c'è ora e ho paura che possa negarmi il permesso, ma ora sono pronto per vederle Bart e non so se avrò il coraggio, dopo. Lei mi guarda indecisa, ma alla fine acconsente. "Grazie" le dico riconoscente, mentre mi accompagna. 

Rimango un pezzo sulla soglia, prima di entrare: la paura mi impedisce quasi di respirare. Quando mi faccio coraggio ed entro, quasi faccio fatica a riconoscere Bart, dietro a tutti quei cavi. Il rumore regolare delle macchine che per ora lo tengono in vita è l'unica cosa che spezza il silenzio, in questa stanza angusta. Mi forzo a respirare, prima di andarmi a sedere sulla sedia che trovo accanto al letto, e un odore acre di disinfettante e medicinali mi riempie i polmoni, provocandomi una nausea intensa. Deglutisco cercando di reprimere le lacrime, che premono prepotenti agli angoli degli occhi. Non sopporto di sentirmi così vulnerabile, mi sembra di essere in balia degli eventi, perso in un mare in tempesta. 

Deglutisco ancora e mi sforzo di respirare con la bocca, per non inalare nuovamente quell'odore tremendo. Ignoro il disagio che sento, mentre fisso Bart, immobile sul letto. Allungo la mia mano tremante per toccare la sua, anche se una sensazione di inquietudine mista a paura mi attraversa. La ritraggo immediatamente, mi sono spinto troppo oltre, non sono pronto. Rimango ancora in silenzio, prima di trovare il coraggio di dire qualcosa. 

"È paradossale, che sia io a rivolgerti la parola per primo, proprio ora che non puoi nemmeno dirmi 'figliolo'." Una risata, che trattengo a stento, sgorga da non so dove. Porca miseria, sto proprio andando fuori di testa, mi ripeto mentalmente, prima di continuare. "Sai che lo odio, quando mi chiami così. Ma tu lo dici da dodici anni come se non te ne fregasse minimamente. Non mi ero reso conto, sai, che fosse il tuo modo di dirmi che ti sentivi un padre per me." Dico con amarezza al suo corpo privo di conoscenza. Chissà se mi sente? 

"Beh, io sono stato un figlio abbastanza orribile, non trovi? Ero arrabbiato, sono arrabbiato. Non ti ho mai dato una soddisfazione, ti ho reso impossibile avvicinarti e – pensa quanto sono ingrato – ti ho sempre incolpato di essere distante nei miei confronti. Non meritavo quelle parole ieri, non le meriterò mai, nemmeno tra un milione di anni, probabilmente." Le lacrime scendono silenziose sulle mie guance, ma non posso tenerle più a freno. Devo andare fino in fondo. 

"Ora è troppo tardi, sicuramente, ma ho capito. Sono tuo figlio più di quanto lo sia stato per quel tossico che mi ha messo al mondo. Non farò mai pace con lui, ma con te voglio farlo." Un singhiozzo mi scuote e per un attimo ho il terrore che qualcuno entri e mi veda in questo stato. Deglutisco ancora, asciugandomi le lacrime con la manica della camicia. "Non ti ho mai ringraziato. Non..." mi insulto mentalmente. Sono solo parole, devo dirle, ora o mai più. "Non ti ho mai detto che ti voglio bene" dico con la voce spezzata dal pianto. "E non ti ho mai chiamato papà. Ma è questo che sei, sei mio padre. Mi hai dato tutto quello che potevi. Non lo dimenticherò... Mai." 

Mi prendo la testa tra le mani e piango come non ho mai fatto, ora. Ma non mi importa: questo è il momento di lasciare andare tutto il dolore e di fare pace, prima di tutto con me stesso.

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Ecco uno dei capitoli più sofferti e drammatici... 😢😢😢😢😢
È un momento molto difficile per il povero Thomas, che finalmente è entrato in contatto con le proprie emozioni e ha deciso di attingervi a piene mani... Questo è sicuramente un momento di crescita per lui, che segna una sorta di rito di passaggio...

Che ve ne pare? Forza facciamo un piantino insieme! 😭😭😭😭😭

Grazie per il vostro sostegno e il vostro apprezzamento! Buona lettura e a presto!!! ❤️

Debbie

Scusa ma ti chiamo BarbieWhere stories live. Discover now