Capitolo 42

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Clarissa

Mi raddrizzo sul sedile, improvvisamente sveglia e lucida. «Non stiamo andando a casa. Dove siamo diretti?» chiedo con la voce intrisa di un panico crescente.

Nessuna risposta. Mi sporgo in avanti tra i due sedili e sbianco quando vedo davanti a noi l'enorme cancello metallico a cui ci stiamo avvicinando.

Deglutisco rumorosamente e mi si secca la bocca. Se avessi qualcosa nello stomaco lo avrei già riversato su tutto il parabrezza.

Il cancello della "El Paso Military Base & Accademy" si apre di fronte a noi mentre un soldato di guardia fa il saluto militare a mio padre.

«No... no...» gemo senza respiro. Non posso crederci: i miei genitori mi stanno rinchiudendo in un collegio militare.

______

L'auto avanza lenta lungo il viale acciottolato illuminato dalle luci disseminate a intervalli regolari che costeggiano il sentiero. Fisso paralizzata il panorama davanti a me senza riuscire a dire una parola.

Passiamo davanti a quella mostruosità di cemento a quattro piani che chiamano "scuola". Ho avuto modo di vistarla in un paio di occasioni: alla festa che hanno dato lo scorso capodanno - la festa più triste delle storia - e alla cerimonia per la promozione a preside di mio padre.

Con mio stupore superiamo anche il dormitorio degli studenti. Pensavo che mi avrebbero lasciata qui fuori nel cuore della notte, proprio come un neonato indesiderato sui gradini di una chiesa, invece proseguiamo dritti per il sentiero.

Ci allontaniamo un bel po' dalle strutture centrali e noto che ci avviciniamo di più alla base militare che si trova accanto all'istituto. Il cuore mi batte frenetico nel petto mentre una sensazione soffocante mi opprime i polmoni.

Dopo ancora qualche minuto entriamo in quello che sembra un piccolo quartiere residenziale. Non mi ero resa conto che questo posto fosse così enorme. Delle piccole case tutte uguali tra loro si succedono una accanto all'altra. Infine mio padre entra nel piccolo vialetto di una di queste casette e parcheggia di fronte al garage.

I miei genitori scendono dall'auto e si dirigono verso la porta d'ingresso. Io me ne resto seduta in auto completamente spiazzata. Che diavolo ci facciamo qui? Nella mia mente prende forma un'idea ma mi costringo a cacciarla via... perché semplicemente non può essere vero.

______

Vedendo che non accenno a muovermi, mio padre mi fa un brusco cenno col capo per intimarmi a darmi una mossa. Costringo il mio corpo a muoversi contro la sua volontà, scendo dall'auto e li raggiungo. Varco la soglia dopo di loro e mi ritrovo in un piccolo ingresso. C'è uno specchio appeso alla parete sopra a un mobile dove mia madre appoggia le chiavi.

Sobbalzo quando vedo la mia immagine riflessa: i miei capelli sono un disastro, sporchi e arruffati per tutte le volte che ho cercato di strapparmeli in questi due giorni. Sul viso ho dei segni neri dovuti alla sporcizia della cella. E anche il mio vestito bianco, non è più bianco. Sembro una senzatetto...

Mio padre si schiarisce la voce e mi fa cenno di seguirli in cucina. La cucina funge anche da sala da pranzo. Le pareti sono di un verde orribile e arriccio il naso guardandomi intorno.

«Siediti» ordina mio padre in tono brusco. Ci siamo, a quanto pare. Prendo posto su di uno sgabello e abbasso il capo, in attesa. I miei genitori mi osservano dall'altra parte del bancone, in piedi, a braccia conserte e con espressione severa.

«Non hai nulla da dire?» chiede mio padre. Espiro piano e scuoto la testa. Lui allora estrae il cellulare dalla tasca della giacca e so già cosa sta per succedere. «Comincia col spiegarci questo, allora».

Mai più con teDove le storie prendono vita. Scoprilo ora