Capitolo 44

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Clarissa

Ho passato l'intera giornata a svuotare gli scatoloni in camera mia. Oltre che a supplicare i miei di farmi fare anche una sola telefonata a Ethan. Ho bisogno di sapere che sta bene e di dirgli che lo amo. Inutile dire che non ho avuto successo.

Appendo lo scacciaspiriti che mi ha costruito Liam alla finestra e mi guardo intorno. La stanza è minuscola. Le pareti sono grigie e tetre tanto quanto il mio umore.

Non ho nemmeno potuto svuotare tutti gli scatoloni perché la maggior parte delle mie cose non avrebbe trovato posto, così risulta spoglia e deprimente. L'ambiente ideale per come mi sento.

Mia madre varca la soglia della stanza con dei vestiti tra le braccia. «Queste sono le divise per scuola» mi informa depositando un mucchietto di vestiti sul letto. Sopra gli abiti c'è una collanina con appesa una medaglietta metallica in stile militare. Ci sono i miei dati e un numero di matricola.

Sono diventata un numero. Fantastico, davvero fantastico.

Non rispondo nemmeno a mia madre. Da quando ho capito che non otterrò comprensione dai miei genitori, non gli rivolgo più la parola. Capisco che si siano spaventati e che siano molto arrabbiati, ma tutto questo è davvero un'esagerazione.

Mia madre non prova nemmeno a interagire con me ed esce dalla camera. Si ferma sulla soglia, però, e senza guardarmi mi dice: «Dovresti chiedere a tuo padre perché si è arrabbiato così tanto per questa storia. Forse lo capiresti meglio». Se ne va senza aggiungere altro.

Non mi interessa cos'abbia da dire mio padre. Ma se pensa che gli renderò la vita facile qui dentro, si sbaglia di grosso.

Mi infilo sotto le coperte e spengo la luce. Penso a Ethan. I suoi occhi scuri e impenetrabili appaiono nella mia mente esausta. Sorrido. E piango.

Ormai a quest'ora avrà scoperto tutto. Mi chiedo se Jack respiri ancora.

______

L'indomani mattina mi sveglio di umore ancora peggiore, se possibile. Indosso i vestiti preparati da mia madre, infilo la catenina. Mi lego i capelli in una treccia laterale. Non perdo nemmeno tempo a truccarmi. Non so nemmeno se sia concesso, a dirla tutta.

Osservo il mio riflesso allo specchio con una smorfia. Indosso una t-shirt bianca con lo stemma dell'accademia e dei pantaloni grigi larghi, in stile militare, e ruvidi da morire. Scuoto la testa ed esco dalla mia stanza.

I miei genitori stanno facendo colazione in cucina. C'è un piatto pronto per me ma lo ignoro. Raccolgo la tracolla contenente quello che dovrebbe servirmi, anch'essa preparata da mia madre, ed esco di casa.

Dopo qualche istante sento mio padre seguirmi. «Dove stai andando?». «A lezione?» rispondo sarcastica, senza voltarmi. «Ti accompagno io. Così ti mostro l'edificio» propone in tono speranzoso. «Non m'interessa. E non mi pare il caso di farmi vedere in giro con il Preside. Aspetta solo che si venga sapere che sono tua figlia e vedrai quanto diventerà dura la vita per me qui dentro» replico con tono acido.

A questo non sa davvero cosa rispondere così mi lascia proseguire. In realtà non ho la minima idea di dove andare, ma so di dover passare in segreteria e spero di avere delle informazioni lì.

______

Passo davanti al dormitorio e qualche allievo sta già uscendo per raggiungere l'edificio principale dove si tengono le lezioni. Mi passano accanto e mi osservano con curiosità.

Immagino che non ci siano molte ragazze da queste parti. Faccio una smorfia, raddrizzo la schiena e proseguo dritta per la mia strada. Mi guardo intorno mentre cammino con calma. Alla luce del giorno questo posto sembra un po' meno terribile. Gli edifici principali danno su un ampio parco verde con molti alberi le cui foglie stanno già lentamente tingendosi dei colori dell'autunno ormai prossimo.

Mai più con teWhere stories live. Discover now