Capitolo 72

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A volte non hai il tempo di accorgertene,

le cose capitano in pochi secondi.

Tutto cambia. Sei vivo. Sei morto.

E il mondo va avanti.

Siamo sottili come carta.

- C. Bukowski



Ethan

Dopo qualche minuto, vedo finalmente i fanalini di coda della sua Mustang. Non è ancora fuori dalla zona industriale. Accelero a fondo, sfrecciando sull'asfalto come un disperato. Esattamente ciò che sono.

La raggiungo, l'affianco e, in una mossa azzardata, la supero, obbligandola a frenare bruscamente, sbarrandole la strada. Appena lo stridore dei pneumatici che bruciano sull'asfalto cessa, veniamo avvolti dal silenzio della notte.

Scendo dall'auto e corro subito da lei spalancandole la portiera. Mi abbasso su di lei, che tiene le mani strette sul volante e lo sguardo fisso davanti a sé. «Spiacente, piccola, ma non ti permetto di lasciarmi. Non di nuovo. Ricordi? Non puoi scappare da me».

Lei allora solleva il capo per incontrare il mio sguardo. «Non farlo, Ethan. Non sono più niente, ormai. E non possiamo tornare ad essere quello che eravamo. Sono successe troppe cose. Lo capisci?» mi dice con le lacrime agli occhi.

Le prendo il viso tra le mani e le asciugo le lacrime con i pollici, sorridendole dolcemente. «È vero. Sono successe tante cose. E dopo tutto questo, ti amo ancora di più. E tu? Tu mi ami?» le chiedo con esitazione.

Lei chiude gli occhi facendo cadere altre lacrime lungo le guance. «Credo di non aver mai smesso di amarti. Ma non ha importanza, Ethan. Finiamo sempre col ferirci a vicenda. E io non ne posso più di soffrire. Sono stata a tanto così dal baratro...» mi dice unendo indice e pollice, «e non riuscirei a sopravviverti ancora. Se mi ami davvero come dici, devi lasciarmi andare. Ed io... io farò lo stesso per te».

Mi alzo di scatto, furioso. «Non puoi dire così! Sono tornato solo per te, perché ti amo, dannazione! E non posso fare a meno di te. Non puoi chiedermi una cosa del genere. Abbiamo provato a stare lontani, e cosa ne abbiamo ricavato? Niente. Solo dolore. Quindi non dirmi di lasciarti andare, perché non posso e non voglio!» le dico col respiro affannoso.

«Ti amo anch'io, Ethan. Ma-». Non le faccio nemmeno finire la frase: è tutto ciò che mi serve sapere.

La prendo e la tiro fuori dall'auto, stringendola forte a me. «Ti prego. Dammi solo un'altra possibilità». Lei scuote la testa sul mio petto.

«E che mi dici di nostro figlio allora? Lo crescerai da sola? O insieme a quel tizio? Non mi permetterai mai di conoscerlo? Potremmo farla funzionare, piccola. Lo amo già alla follia tanto quanto amo te. Saremo una famiglia. Io... voglio sposarti. Anche domani!» le confesso, sentendo il petto gonfiarsi proprio nel punto in cui il mio cuore sta riprendendo il suo posto.

Lei si allontana da me e mi guarda con gli occhi carichi di sofferenza e il labbro inferiore che trema. «Non c'è nessun bambino, Ethan».

Mi ci vuole un po' per registrare le sue parole. «Tu...», non riesco a tirare fuori una frase di senso compiuto. Poi ripenso alle parole di Sara: "Hai capito, Ethan? Il bambino... non era di Ryan".

Era. Non "è".

Non posso crederci. Clarissa si limita a scuotere mestamente la testa. Faccio un passo indietro. E poi un altro. E un altro ancora. Ho bisogno di allontanarmi da lei. Forse, per la prima volta in vita mia, non ho voglia di guardarla.

Mai più con teWhere stories live. Discover now