Capitolo 55

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Ethan

«Devi dirmi dove l'hai vista, Jessica. Dimmi tutto ciò che sai» le ordino in tono agitato. Devo sembrare un pazzo fuori di testa, ma non m'importa.

Jessica mi osserva ora con una strana espressione, sembra quasi triste. Per me. «La ami ancora? Anche se lei non pensa più a te? Nonostante...» si interrompe, scuotendo forte la testa con aria contrariata per poi fissare il suo sguardo duro nel mio. «Ma l'hai capita la foto che ti ho mandato, almeno?».

Il mio cuore galoppa come un fottuto cavallo da corsa. «Quale foto?» chiedo in un ringhio, incerto se voler davvero sapere di cosa stia parlando.

Jessica resta in silenzio a lungo.

E Jessica... non resta mai in silenzio. Cosa cazzo succede?

Alla fine, scuote mesta il capo ed estrae il suo telefono da una minuscola borsetta. «L'ho scattata io stessa appena l'ho riconosciuta. Pensavo che dovessi saperlo e te l'ho inviata. Ma è ovvio che non l'hai mai vista, altrimenti...». Tocca lo schermo diverse volte e poi mi passa il telefono.

Mi ci vuole un bel po' per capire quello che sto guardando. O forse, semplicemente, mi rifiuto di accettarlo.

Sara emette un rantolo e mi appoggia una mano sulla schiena, cercando di rassicurarmi.

Ma niente può farlo.

Dicono che la speranza è l'ultima a morire. Ora so per certo che si sbagliano, perché questa immagine, che non mi toglierò mai più dalla testa, ha cancellato in pochi secondi tutta la speranza dal mio corpo.

Non credevo che avrei mai potuto soffrire più di quanto ho sofferto finora. Quanto mi sbagliavo.

Mi sento dilaniato. Come se un'ascia stesse facendo a brandelli la mia anima già martoriata.

Chiudo gli occhi e restituisco il telefono con mano tremante a Jessica. Ma è inutile. Quella scena è marchiata a fuoco dietro le mie palpebre. «Non può essere vero...» sussurro a me stesso.

Come hanno potuto le cose degenerare così in fretta?

E quel coglione... Cristo, se ho voglia di ammazzarlo! Ma non so se ce l'ho più con lui o con me stesso.

Perché... avrei dovuto esserci stato io in quel consultorio, inginocchiato davanti a lei.

Avrebbe dovuto essere mia la fronte che poggiava sulla sua.

Avrebbe dovuto essere rivolto a me il suo sorriso dolce e timido.

E Cristo Santo... avrebbe dovuto essere mia la mano che poggiava delicatamente sul suo ventre.

E, senza dubbio, avrebbe dovuto essere mio il figlio che porta in grembo...

Avrebbe potuto esserlo. E invece non lo sarà mai più.

_____

Un'ora più tardi, sono ancora seduto a terra sull'asfalto freddo. Con la schiena appoggiata alla fiancata della mia auto e la testa abbandonata tra le ginocchia.

La gente si è spostata all'interno di uno dei fabbricati in disuso per continuare la festa, del tutto inconsapevoli della tempesta che mi sta devastando dentro.

I miei amici sono accanto a me, sussurrano piano, ponendosi domande a cui nessuno può dare una risposta. Se non lei.

Lei che, dopo aver provato a telefonarle un'infinità di volte, ha bloccato tutti i nostri numeri, tagliandoci fuori.

Lei che ci ha chiaramente fatto capire di aver voltato pagina e che non vuole più saperne nulla di nessuno di noi.

Lei che presto avrà un bambino con un altro. Un bambino, cazzo! Come può essere successa una cosa del genere? E quando?

Mai più con teDove le storie prendono vita. Scoprilo ora