Capitolo 51

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Clarissa

Sono passati tre giorni. Tre giorni in cui sono rimasta a letto a vegetare. Non sono andata a lezione e mio padre non ha avuto nulla in contrario da dire. Anzi, ha provveduto lui stesso a informare i miei insegnanti che sarei stata assente per un periodo non ancora definito. Essere la figlia del preside a volte ha i suoi benefici.

Ryan passa a trovarmi tutti i giorni dopo le lezioni. Cerca di farmi parlare e di distrarmi raccontandomi dei casini che combinano Olsen e Mallory. Ma nulla funziona.

So che non ha raccontato niente ai miei genitori riguardo al motivo del mio crollo di domenica, proprio come l'ho supplicato di fare. Mi sento umiliata e non voglio dare ai miei l'occasione per ribadire il "Te lo avevamo detto". Anche se sono certa che abbiano almeno in parte intuito che sia successo qualcosa di spiacevole con Ethan.

Lo vedo dallo sguardo carico di pena che mi rivolge mia madre quando viene a portarmi qualcosa da mangiare e che io praticamente non tocco. E lo vedo nel lampo di furia che balugina negli occhi nocciola di mio padre, quando mi vede così... spenta.

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«Senti. Se non mangi da sola, ti costringo io. So che stai male, ma devi pensare anche al bambino», la voce di Ryan tocca una corda sensibile.

Faccio una smorfia, consapevole che ha ragione ma incapace di reagire nemmeno per il suo bene.

Sara aveva ragione: Ethan Jones mi ha distrutta, alla fine. Fatta in così tanti piccoli pezzi, che non sarà mai più possibile rimettermi insieme.

Mi stringo di più la coperta addosso, scossa dai brividi. Sento continuamente freddo. Freddo dentro.

Ryan lascia andare un profondo respiro. «Pensi di tenerlo lo stesso? Voglio dire... è ovvio che non vuoi più saperne niente del tuo ragazzo. Cosa vuoi fare adesso? Glielo dirai?».

«Ex ragazzo. E non lo so... non so più niente».

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Quando Ryan si presenta da me sabato pomeriggio, in tenuta casual e con un sorriso soddisfatto sulle labbra, rimango perplessa. «Va' a farti una doccia. Usciamo» mi informa.

Io mi alzo a sedere sul letto. «In che senso?» chiedo confusa. Lui alza gli occhi al cielo. «Nel senso che adesso porti il tuo culo in doccia perché, sinceramente, cominci a puzzare...».

A questo non posso ribattere nulla. So di essere un disastro. Lui mi tira in piedi e comincia a spingermi fuori dalla mia stanza e sono troppo debole per opporre resistenza. «E poi... abbiamo appuntamento al consultorio. Ricordi?» mi sussurra all'orecchio. Mi blocco sul posto.

«Ho convinto i tuoi che una boccata d'aria fresca e uscire un po' dall'istituto ti avrebbe fatto bene. Non hanno avuto nulla in contrario» mi spiega con una scrollata di spalle. Mi spinge di nuovo fuori dalla stanza e mi conduce al bagno.

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Un'ora più tardi, mi ritrovo in una jeep con Ryan, davanti al grande cancello d'ingresso dell'accademia. La guardia che staziona lì, registra i nostri dati e poi ci lascia uscire. Quasi credevo che mi avrebbero fatta scendere e riportata a casa, ma evidentemente mio padre ha davvero dato il via libera per il mio "rilascio".

Osservo la lunga e polverosa strada che si staglia davanti a noi, costeggiata dal deserto, dove balle di fieno e rovi corrono piano mosse da una leggera brezza di inizio novembre.

Uno strano senso di eccitazione smuove qualcosa dentro di me. Non riesco a credere di essere fuori dall'accademia dopo quasi un mese e mezzo di reclusione forzata.

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