Capitolo 62

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Clarissa

I ragazzi continuano a farmi domande per tutto il tragitto. Ed io continuo a ignorarli e ad alzare il volume della radio per non sentirli. Sfreccio sulla principale, sorpassando con abilità le auto che mi rallentano. È bello. Mi ero dimenticata della sensazione di libertà che dà sentire l'asfalto che scorre veloce sotto gli pneumatici. E anche se il mio cuore è pieno di preoccupazione per la sorte di Justin e di suo cugino, non posso trattenere un piccolo sorriso. È più forte di me.

Spero solo di riuscire a tornare a casa prima dei miei genitori. Anche se mio padre mi aveva dato il permesso di guidare di nuovo la mia auto, sono certa che il permesso non fosse esteso al mondo delle corse clandestine. Avrei potuto usarla solo per uscire in compagnia dei ragazzi. Beh... almeno sono con loro.

____

Arriviamo finalmente alla fabbrica e varco la recinzione sfondata, rallentando la mia corsa. «Ma che cazzo ci facciamo qui?» chiede Olsen infilando la testa tra i sedili anteriori.

«Ascoltatemi bene...» li avverto, rallentando ulteriormente quando vedo il posto di blocco istituito per precauzione da Condor già da un bel po', «Adesso dovete tenere chiuse quelle vostre boccacce, siamo intesi? Lasciate parlare me».

Ryan mi scruta con aria indignata ma lo ignoro. Mi fermo davanti ad alcuni tizi vestiti di scuro e grossi come armadi. Si avvicinano alla mia auto scrutandola con attenzione. Purtroppo non riconosco nessuno di loro. Sono nuovi ed io sono fuori dal giro da troppo tempo perché possano riconoscermi. Più di sei mesi, per essere precisi...

Abbasso del tutto il finestrino e uno dei tizi si appoggia alla portiera, scrutando all'interno dell'abitacolo. «Ehi, dolcezza... ti sei persa?» mi chiede con un ghigno strafottente.

Lo fulmino con un'occhiataccia. «Per niente, pezzo d'asino. Condor mi aspetta». Con tanti saluti alla diplomazia.

I suoi occhi si riducono a una fessura. «Avere una bella macchina non ti autorizza a passare, dolcezza» afferma in tono di superiorità.

«Ehi, stronzo! Chiamala dolcezza ancora una volta e scendo a spaccarti il culo! Hai scelto la serata sbagliata per farmi girare le palle!» esclama Ryan sporgendosi sul mio sedile. Lo afferro per la maglia e lo rispingo al suo posto, ammonendolo con uno sguardo truce.

Riporto gli occhi sull'armadio ambulante che ora guarda Ryan come se fosse il suo dessert. «Senti, facciamola breve. Chiama Condor e digli che sono qui, o ti assicuro che si arrabbierà molto. E non credo che tu voglia vederlo arrabbiato, giusto?» gli dico con un sorriso dolce ma carico di sottintesi. Vedo la sua espressione da duro vacillare.

Si rialza e prende il telefono dalla tasca dei pantaloni portandoselo all'orecchio, mentre io muovo nervosamente la gamba su e giù. Ci stanno facendo perdere un sacco di tempo, dannazione!

«Ehi, capo... c'è qui una ragazzina. Dice che la stai aspettando. Non mi convince molto anche se guida una Shelby...» dice al telefono. Poi riporta il suo sguardo su di me e vedo la sua fronte imperlarsi di sudore. «Sei... Clarissa Williams?» mi chiede infine, avvicinandosi di nuovo alla mia portiera. Mi limito a scoccargli un'occhiataccia per conferma.

Chiude la telefonata. «Ehm... ok, puoi andare. E... scusa. Non ti avevo proprio riconosciuta» mormora piano. Senza proferire parola, parto immediatamente sgommando.

«Coglione... Esci di scena per un po' e si dimenticano di te» borbotto tra me e me. I ragazzi nel frattempo sono ammutoliti. Era anche ora, cazzo.

Quando svolto l'angolo di uno dei tanti fabbricati in disuso, veniamo investiti da luci colorate, musica, grida, rombo dei motori e l'inconfondibile odore dei gas di scarico e gomma bruciata. Il vicolo pullula di persone e di auto sportive dai colori sgargianti che affiancano i muri di mattoni rossi.

Mai più con teWhere stories live. Discover now