1 (parte 2)

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L'ho capito fin dal primo momento: questa camera è troppo grande per me. Tutto questo spazio mi soffoca e mi è completamente estraneo, senza contare che il mio vestiario non potrà mai occupare interamente il grande armadio situato davanti al letto a due piazza e composto da due ante a specchio e tre larghi cassetti alla base. Mi domando per chi mi abbia preso la nonna. Chiara Ferragni, forse?

Guardo l'orario sul mio iPhone poggiato sul comodino vuoto accanto al mio letto: sono appena le sei e mezzo. Il piccolo abat-jour diffonde nella stanza una tenue luce calda che mi ha fatto compagnia anche per tutta la notte.

Il buio è una delle mie più grandi paure.
No, non da sempre. Da piccola non mi terrorizzava come fa adesso ed è proprio questa la cosa peggiore.

Un bambino che ha paura del buio, crescendo impara a superare la sua fobia. Così i mostri non esistono più e dall'armadio non può sbucare nessuno che voglia ucciderti.
In fondo il buio non è altro che la cecità di quello che ci circonda. E non riuscire a vedere spaventa più di riuscirci e capire che non ti piace per niente quello che c'è.
Ma una ragazzina di dieci anni che comincia ad avere paura del buio della sua stanza, di quello che potrebbe accadere se non riesce a tenere sotto controllo gli angoli ciechi o quello che si cela nel buio, non riesce a superare un bel niente da sola. Perché non si tratta di mostri. Si tratta della paura verso qualcosa - o meglio qualcuno - che ferisce nell'ombra, quando nessuno può vederlo.

A volte mi son chiesta se anche mia madre avesse il mio stesso problema. Se anche lei patisse quanto me nel non essere in grado di chiudere gli occhi ed essere spaventati dal nulla che è quel buio dannato. D'altronde, quello che abbiamo vissuto ci accumuna dolorosamente... Tuttavia, non ho mai avuto il coraggio di proferirne parola e meno che mai comincerò adesso, alla veneranda età di quasi diciotto anni.

Mi alzo lentamente, scrutando critica l'ambiente che mi circonda. Mi ritrovo a fantasticare su qualche stampa di Van Gogh che dovrei avere da qualche parte e che potrei attaccare sulla parete sopra il letto. Sì, la Notte stellata potrebbe proprio rendere meno spoglio questo posto...

Raggiungo il bagno e, quando accendo la luce cercando l'interruttore al buio strisciando il palmo sul muro, vengo accecata dalla luce troppo forte per i miei occhi abituati al flebile bagliore della notte.

Trascino i piedi nudi sulle mattonelle fredde e osservo il mio riflesso assonnato nello specchio.

Sotto gli occhi color nocciola, due grandi occhiaie profonde e scure mi donano l'aspetto di un panda. Le guance sono arrossate al di sotto della fitta pioggia di leggere lentiggini che somigliano a piccole fave di cacao.
Mi sciacquo il viso, spalmo un po' di crema che odora di chimico, e lavo i denti. Applico poi la crema idratante su tutto il corpo e mi sciolgo i capelli, cercando di sistemarli e ordinarli appena, giusto per non dare l'impressione di non essermi nemmeno guardata allo specchio prima di uscire di casa.

Ma i miei capelli stamani sembrano essere talmente ingestibili, che alla fine opto per il solito chignon riccio e castano.

Ritorno in camera e apro l'armadio.

È davvero troppo vuoto!

Prendo un paio di leggings ed una felpa oversize di Harry Potter di Stefano. Gliel'ho rubata così tante volte che alla fine me l'ha regalata e oggi sarà il mio portafortuna. Le maniche sono troppo lunghe e mi coprono l'intero palmo lasciando scoperte solo le dita e il bordo inferiore arriva oltre metà coscia. Infilo le mie Converse bianche e prendo lo zaino dalla scrivania prima di scendere al piano di sotto.

La casa è molto silenziosa e i miei passi risuonano per le scale. Vado in cucina ed anche qui ho il piacere di essere sola.

Apro il frigo con ancora lo zaino in spalla e cerco almeno del latte fresco. Prendo una bottiglia ancora sigillata dallo sportello e lo metto sul davanzale andando alla ricerca di una tazza.

«Buongiorno!» esclama mia nonna alle mie spalle.

Mi giro e la guardo venire verso di me e raggiugnere un pensile dietro le mie gambe, sotto il lavabo. Lo apre e scopro che è in realtà una lavastoviglie a scomparsa. Ne estrae una tazza in ceramica rosa e me la porge.

«Grazie.»

La porto a tavola e poso lo zaino su una sedia, riempiendo poi la tazza fino all'orlo di latte.

«Non vuoi dei biscotti con il latte?» chiede, sorridente.

Stamani sembra più riposata di ieri. Anche lei ha delle leggere occhiaie sotto agli occhi, ma probabilmente ha tentato di coprirle al contrario di me. Indossa una camicia da notte di seta leggera che mette in evidenza il suo corpo asciutto ed esile e delle pantofole. I capelli sono leggermente in disordine, ma credo che non si sia neppure pettinata prima di scendere.

«Non ho molta fame la mattina. Preferisco solo bere del latte.»

Lei mi sorride accondiscendente.

«Tua madre è già uscita?» chiede poi, incrociando le braccia sul petto.

«Non credo. Lei non è esattamente la persona più mattiniera di questo mondo. In genere, quando non deve andare a lavoro, si sveglia sempre dopo di me.»

«E tu?»

«Io cosa?»

«Non ti piace dormire?»

«Non particolarmente» rispondo sincera.

«Nemmeno a me» dice, la voce ridotta quasi a un sussurro.

Cala il silenzio, mentre io continuo a bere a piccoli sorsi il latte.

Guardo l'ora sul piccolo orologio sopra alla porta: sono solo le sette e venti, ma il bus passa tra cinque minuti perciò non vorrei fare troppo tardi.

La nonna ha detto che la scuola non è molto lontana da qui, ma ieri sera cercando il tragitto su Google Maps ho scoperto che in realtà dista dieci minuti in macchina, ma quasi trenta a piedi. Ed io non sono esattamente il tipo di persona a cui piace camminare di prima mattina.

Finisco il mio latte e lavo la tazza a mano.

«Potevi benissimo metterla nella lavastoviglie, cara. Non c'è bisogno che la lavi tu» mi dice la nonna, che è ancora in piedi al centro della cucina.

«L'abitudine...» mormoro, non tanto certa che mi abbia sentita.

Quando ho fatto, recupero lo zaino e mi avvio verso la porta dicendo: «Devo andare, altrimenti perderò l'autobus».

«Non vuoi che ti accompagni Fred?» chiede, venendomi dietro attraverso la cucina e poi il salotto, fino alla porta di casa.

«No, preferisco andare da sola. Grazie lo stesso, nonna.»

Apro la porta e faccio per andare, ma la nonna mi blocca esclamando: «Aspetta!».

Io la guardo perplessa prima che lei si avvicini e mi posi un leggero bacio sulla guancia.

«Buona giornata» mi augura, sorridendo con gli occhi.

La prima volta ti travolgeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora