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Mi sveglio di buon'ora e mi preparo rapidamente, lavandomi e indossando un paio di jeans e un maglioncino di cotone color turchese che non ho mai messo in vita mia. Mi è stato regalato da mia madre un paio di anni fa per Natale, ma non ho avuto il coraggio di dirle che difficilmente avrei indossato quel colore. Ma oggi devo sembrare una studentessa giovane e studiosa e probabilmente questo maglioncino mi aiuterà nel mio intento – nonostante credo mi vada un po' stretto sul seno e mia madre avrebbe non poche cose da ridire a riguardo –.

Infilo le mie Converse bianche e vecchie e scendo al piano di sotto, per farmi un caffè veloce prima di uscire. Per mia fortuna, qualcuno lo ha già preparato prima di me, perciò non ci metto molto a scaldarlo e a berlo, ed esco di casa neanche dieci minuti dopo.

L'aria è fredda, nonostante siano già le dieci e il sole faccia capolino dietro enormi nuvole bianche. Mi stringo nella mia giacca a vento blu, infilando le chiavi di casa e il cellulare in tasca. Poi prendo dalla tasca posteriore dei miei jeans un taccuino trovato nel fondo di un cassetto in salotto e una penna. Sorrido osservando il mio bottino, al pensiero del piano ben architettato stanotte e che dovrò mettere in pratica da qui a breve. Spero solo di essere all'altezza della mia mente...

Seguo la strada fino al centro, ma svolto prima di arrivarci. La Bravi Industry è situata neanche a dieci minuti da casa mia a piedi e io non sapevo nemmeno della sua esistenza. A mia discolpa, posso dire che difficilmente avrei mai potuto percorrere la strada che vi ci porta, anche perché qualche chilometro oltre si è già fuori città e io non avrei motivo di arrivare fin qui.

A parte la causa ben più che lecita di oggi, ovvio.

Quando mi ci trovo davanti, tuttavia, faccio ancora fatica a credere di non averla mai neppure intravista. È una struttura enorme, con un'insegna blu e bianca che porta il nome dei Bravi. Tutt'attorno vi è una vegetazione ben curata e un cancello automatico e controllato da un uomo in divisa, che limita gli accessi alla struttura.

Questo dettaglio non lo avevo proprio considerato, ma decido che non mi farò scoraggiare dal primo imprevisto.

Mi incammino a testa alta verso un uomo alto e baffuto, leggermente stempiato e robusto. Quest'ultimo non sembra neanche notarmi fino a quando io non faccio il tentativo di entrare ignorandolo completamente.

Il tizio mi rivolge un ghigno torvo.

«Dove crede di andare, signorina?» borbotta, con voce talmente roca che penso abbia un ratto in gola. E questo spiegherebbe anche il suo respiro pesante e il viso grassoccio e paonazzo.

«Dovrei entrare» dico semplicemente, come se potesse farlo chiunque e che quel "chiunque" fossi proprio io.

Lui posa i suoi occhi minuscoli e neri dietro di me, come a prendersi qualche minuto per pensare. La sua fronte sudaticcia è lucida alla luce del sole e macchie di sudore contornano il colletto della sua camicia bianca, rendendola quasi trasparente e mostrando una canotta intima bianca.

«Ha un appuntamento?» domanda alla fine, come se gli ci fosse voluto tanto tempo per trovare la domanda giusta da farmi.

Annuisco, convintissima del fatto mio. Se ho capito bene che tipo di persona ho davanti, dovrebbe farmi passare senza aggiungere altro.

L'uomo infila la mano nella tasca dei suoi pantaloni neri che sono decisamente troppo larghi per essere indossati senza una cinta. Ne estrae un fazzoletto di stoffa bianco e bagnato e se lo passa sulla fronte madida.

«Entri» mi dice, ricominciando a ignorarmi.

Non me lo faccio ripetere una seconda volta e mi infilo in un viale largo e asfaltato, lungo il quale ci sono un paio di macchine parcheggiate.

La prima volta ti travolgeWhere stories live. Discover now