35 (parte 2)

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Le sue braccia mi stringono come mai avevano fatto prima d'ora e come mai avrei creduto potessero fare. Mi sento al sicuro, mi sento protetta, come se il mondo non mi toccasse, come se tutto d'ora in avanti andrà meglio solo grazie a questo abbraccio.

Sento il battito del suo cuore sotto il mio orecchio poggiato al suo petto ed è un suono che mai avrei trovato così bello come in questo momento. Decido che sì, il suono della protezione dev'essere proprio simile a un cuore che batte. Non ha importanza come e per chi, ma solo il momento, il preciso istante in cui senti che quel suono può farti sentire meglio.

Mi accarezza la testa premurosamente e poi una sua mano scivola sulla mia schiena. Il silenzio che regna sovrano nella stanza è fin troppo bello e al contempo irreale per essere vero. Mi sembra che potrebbe essere spezzato da un momento all'altro e ho paura che quando questo accadrà, la realtà mi cadrà addosso più forte di prima.

Sospiro, lasciandomi cullare ancora un altro po' da questo momento così flebile, simile al cristallo, così maledettamente bello e fragile allo stesso tempo.

«Non piangere più, Mara» dice, la sua voce familiare mi fa sentire ancora più protetta, perché fino ad adesso è stato l'ignoto a farmi paura, un ignoto che mi ha fatto soffrire, da cui sono fuggita per molto tempo e che adesso ho scoperto essere più vicino a me di quanto pensassi. L'ignoto che ha lo stesso nome di mio padre.

«Ci sono io con te. Sono qui.»

Sono qui.

Con me.

Per me.

È questo quello che ha appena detto. Lo fa per me, è qui per me. C'è ed è di questo che avevo bisogno, anche se non so in quale modo o il perché, ma avevo bisogno di lui.

Sollevo la testa dal suo petto, anche se mi costa uno sforzo sovrumano. Due occhi azzurri, limpidi come il cielo terso, mi offrono un riparo nel quale sprofondare, nel quale perdermi, sentendomi comunque a casa, protetta.

Jordan mi cinge in vita, stretta a sé, ed io non so se in questo momento stia riuscendo a restare in piedi per merito mio o suo. Il suo sguardo è teso, ma i suoi occhi continuano a trasmettere tranquillità, calma, serenità.

«Stai bene?» mormora e sono sicura di non aver sentito le sue parole, ma di aver capito cosa mi abbia appena chiesto leggendo il suo labiale.

Sto bene?

Il dolore opprimente al petto, la sensazione di una corda attorno al mio collo, i polmoni svuotati o i brividi freddo, sono tutte sensazioni che non sento più, non provo più niente di tutto ciò.

Perciò credo di sì, al livello fisico sto bene, non c'è alcun problema, non provo più niente.

Ma c'è qualcos'altro, qualcosa di simile a un dolore latente e profondo, ma non fisico, non credo si percepisca dall'esterno. Lo sento solo io, lo provo dentro di me. È una sofferenza che ha il potere di farmi piangere di nuovo, qui, adesso, se non fosse che le braccia di Jordan mi avvolgono ancora e il suo abbraccio è come una cura per me, un antidoto a tutto il male che mi ha fatto e che è tornato a farmi mio padre.

Ma nonostante ciò, nonostante tutto il malessere che ancora provo, annuisco.

Quindi adesso sto bene, tutto va bene, perché l'ho detto io, ho annuito.

«Sei una pessima bugiarda, Mara» ribatte lui, con quello che mi sembra essere un tono di biasimo.

Questo mi provoca un mezzo sorriso che poi si trasforma in una risata titubante. È come se avessi paura di farlo, di ridere, perché poi tutto potrebbe precipitare a capofitto un'altra volta, potrei tornare ad esser triste e arrabbiata e impaurita e il pianto sostituirebbe subito la risata che tanto ho creduto essere fievole e facilmente distruttibile e infatti tale si è dimostrata.

La prima volta ti travolgeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora