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Io e Jordan usciamo da una piccola hamburgheria in centro l'uno accanto all'altra, ridendo del piccolo proprietario del locale, un omino basso e tarchiato, dalla testa calva e tonda e uno sguardo torvo che ha rivolto più volte in direzione del nostro tavolo durante tutto il pranzo. Entrambi abbiamo ordinato lo stesso panino con hamburger di pollo, salsa rosa, cetriolini, insalata, pomodori e patatine fritte. Come bevanda, io ho optato per una bottiglia d'acqua e Jordan ha ordinato un boccale di birra. Abbiamo trascorso oltre cinque minuti ad attendere che l'omino si assicurasse che Jordan fosse almeno maggiorenne e che non stesse per vendere alcol ad un ragazzino. Abbiamo riso sotto i baffi quando alla fine è tornato al nostro tavolo con un ghigno antipatico stampato in faccia e ha restituito seccato i documenti a Jordan, asserendo che comunque era troppo giovane per bere alcol e che i suoi dovevano davvero aver faticato parecchio per crescerlo in maniera quantomeno decente. Quando si è voltato, siamo scoppiati a ridere come matti. Jordan mi ha raccontato di quando suo nonno lo obbligava ad assaggiare tanti tipi di vino diversi. Possedeva una cantina a casa sua ed era uno dei degustatori più rinomati ed esperti della città. Quando si recava presso un'enoteca, tutti dovevano temere il suo il giudizio. A lungo andare il nipote aveva appreso sui vini nozioni importanti, tra le quali anche quella di non esagerare mai, cosa che faceva spesso il nonno, che crollava sulla sua poltrona con la pancia gonfia dopo una bella bevuta di un vino pregiato e invecchiato almeno 5 anni. Dunque, la situazione nella quale ci siam ritrovati con il proprietario dell'hamburgheria è stata quanto mai fuori luogo.

«Quel tizio era davvero divertente. Quando ho pagato il conto, mi ha guardato come si fa con gli alcolizzati e ha tentato di farmi dare il numero di telefono dei miei per farci "quattro chiacchiere"» dice Jordan, mimando le virgolette con le mani. Ridiamo insieme mentre una macchina sfreccia per la strada accanto a noi.

Sono ormai le due del pomeriggio e l'aria è molto calda anche se il cielo non è completamente limpido e talvolta il sole scompare dietro nuvole paffute che si stendono come morbidi cuscini nella volta celeste.

«Credo che non ci metterò più piede là dentro in tua compagnia: non vorrei mai che mi prenda per una povera alcolizzata che ha subito la tua cattiva influenza!» lo prendo in giro, facendogli la linguaccia. Lui mi spinge delicatamente, ma abbastanza forte da farmi fare un passetto di lato per evitare di cadere. Rido di gusto, dandogliela vinta solo per questa volta, e continuiamo a passeggiare lentamente verso casa.

Dopo il suo "bacio" nel bosco – non so neanche se possa definirlo tale, in realtà –, non ci ho capito più niente per un bel po'. Sono rimasta in silenzio a ripensare alle sue labbra che hanno sfiorato le mie per molto tempo e ogni volta che lo facevo, mi sentivo avvampare in viso. Lui, invece, parlava del più e del meno come se nulla fosse successo, come se quello che ha fatto non abbia avuto alcun valore. Probabilmente è così, perciò mi sono sforzata di rilassarmi e godermi il pranzo in serenità. È stata mia l'idea di provare quell'hamburgheria e, a parte il proprietario scettico e antipatico, il cibo è stato squisito. Ad ogni modo, l'omino ci ha dato di che parlare durante tutto il tempo del pasto e in fondo sono grata a quel suo sguardo diffidente e torvo.

Sento che le nostre mani si sfiorano ed io ritraggo subito la mia, incrociando le braccia al petto. Non voglio che quello che è successo nel bosco abbia ripercussioni sulla nostra amicizia, ma davvero non so cosa pensare. Dagli occhi di Jordan o dal suo comportamento non capisco cosa prova o desidera né tantomeno voglio che il nostro rapporto si spinga oltre il dovuto per niente. Oppure no?

Jordan mi osserva sottecchi e sento i suoi occhi posarsi su di me e poi tornare a guardare la strada rapidamente.

«Sono grata che tu abbia insistito a farmi uscire con te oggi. Se fossi rimasta a casa, avrei passato tutta la giornata ad assillarmi con brutti pensieri» mi confido, non avendo paura di farlo. In qualche modo, sento che Jordan mi capisca senza il bisogno di parole, ma pronunciarle, a volte, mi fa credere che anche se Stefano, l'unica persona che riusciva a capirmi come nessun altro, mi ha tradita, non tutti debbano obbligatoriamente non saper ascoltare. E Jordan non fa parte di quel "tutti" che è il mondo che mi circonda. O almeno lo spero.

«E questi brutti pensieri hanno a che vedere con la faccenda di tua nonna, giusto?»

Ridacchio leggermente e sospiro, osservando un gatto nero che attraversa la strada davanti a noi. Poi si intrufola nel giardino di una casa, passando attraverso la grata di una staccionata e scompare dalla mia visuale.

«Mia nonna sta bene, ma questo tu lo avrai già intuito, immagino» ribatto, imbarazzandomi un po' per la mia bugia.

«Sappi che non c'è bisogno di parlare di questo» dice lui, serio. Scuoto la testa come a dirgli che posso anche dirgli la verità.

«Ero andata visitare la tomba di mio padre» gli spiego, un po' titubante. Annuisce e, in fondo, mi aspettavo da lui questo tipo di reazione. Discreta, seria e opportuna: in stile Jordan insomma.

Proseguo senza che me lo chieda. «Mio padre non è stato esattamente il tipo di padre che mette al primo posto la sua famiglia. O per le meno, ricordo a stento i giorni in cui eravamo le persone più importanti della sua vita.»

«Quando è morto?» domanda, adesso un po' più curioso e confidente nel fatto che possa reggere le sue domande. Potevo farlo anche prima, in realtà, ma non credo lo sapesse.

«È scomparso quando io avevo più o meno sei anni. Poi io e la mamma ci siamo trasferite altrove, ma la nonna è rimasta qui. Ho scoperto che si reca al cimitero in memoria di mio padre molto spesso. E stamattina le ho chiesto di accompagnarmici.»

«Cos'hai provato?»

Mi meraviglio ancora una volta della sua maturità. Molto ragazzi della sua età se la sognano e, a dirla tutta, anche le ragazze vorrebbero trovare un tipo del genere. Rifletto un po' prima di trovare la risposta adatta.

«Ho odiato tanto mio padre, Jordan. Lo faccio tutt'ora, ma mai come in passato. Mi ha ferita e ha trasformato la nostra famiglia, cambiandola e distruggendo tutto quello che lui e la mamma avevano costruito. Compresa me. Ma oggi, davanti a quella lapide, ho osservato la sua foto e l'unica emozione che ho provato è stata pietà. Pietà per la nonna che piangeva quel figlio che le ha fatto tanto male; pietà per la mamma che ha amato un uomo che l'ha ridotta a pezzi; pietà per me, per quello che mi porto dietro da quel giorno.»

Mi rendo conto che sto parlando più a me stessa che a lui. Confidarmi ad alta voce mi aiuta in questo senso. E anche se Jordan non sa niente di quella notte, io lo rivedo lucidamente davanti ai miei occhi.

Mio padre che si abbatte su di me. La sua figura nera, possente, non mi era mai sembra più grande e spaventosa come in quel momento. Le mie grida, che però non udivo. Credevo di stare urlando, ma la voce non usciva e le parole mi morivano in gola. Ero inerte e non riuscivo a muovermi da sotto le sue grinfie. Chiusi gli occhi e il buio mi sembrò più sopportabile. Era una vana illusione che addolcì in maniera irrilevante quello che stava accadendo.

Scuoto la testa, scacciando le immagini di quella notte dalla mia mente, e sorrido controvoglia.

Jordan mi stringe la mano e una dolcezza profonda e sincera mi invade completamente. È come se volesse farmi sentire la sua presenza, come se avesse paura che io mi perdessi da un momento all'altro. Il suo sguardo è dritto davanti a sé e la sua presa diventa più decisa quando lo vede.

La prima volta ti travolgeWhere stories live. Discover now