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I miei piedi picchiano l'asfalto con violenza ogni volta che faccio un passo avanti, correndo più veloce che posso.

Ne avevo voglia. Di correre, intendo. Ne sentivo il bisogno nelle gambe, bramose di muoversi il più rapidamente possibile. I muscoli sembrano non riuscire a sostenere il ritmo, perché non sono abituati a tanto sforzo. Il giubbotto di pelle mi stringe le spalle mentre le braccia si muovono avanti e indietro, sferzando l'aria. Il vento freddo mi scompiglia i capelli, ma non mi importa. Sento colarmi il naso gelido e paonazzo, mentre le guance sembrano stare intorpidendosi investite dall'aria fredda di questa notte.

Il mio fiato rimbomba per la strada. Gli anziani della vecchia catapecchia sono ancora in veranda. Hanno sparecchiato e adesso attendono qualche altro minuto prima di andare a letto. Si girano verso la strada quando la percorro correndo, ma ho la sensazione che non mi vedano. In fondo, corro molto veloce.

Magari stasera questa cosa è possibile. Magari posso diventare invisibile e restare da sola. A riflettere, a correre senza fiato pur sembrando una scema: tanto nessuno mi vedrebbe, tanto nessuno noterebbe la mia presenza. Potrei farlo sul serio, se lo volessi. Sì, potrei volerlo, potrei farlo, ma non ci riuscirei davvero.

E quindi questo è quello che mi resta. Correre credendo di riuscire a farlo rapidamente, sentirmi volare sull'asfalto e non riuscire ad essere vista da due anziani, solo perché probabilmente non ci vedono bene in generale, ma a me basta non ammetterlo, basta credere che sono davvero invisibile se corro e nessuno mi vedrà.

Mi chiedo perché lo stia fecondo e perché ne senta il bisogno. Non per Jordan, non per BB. No, c'è dell'altro, qualcosa che non so. Quindi attribuisco questo mio stare correndo al voler ricordare i tempi passati, quelli della mia infanzia.

Da piccola correvo? Non mi ricordo. Ma, in fin dei conti, tutti i bambini corrono, perciò decido che sì, correvo e anche tanto, e adesso ne sentivo la mancanza, quella sensazione che accompagna la corsa, quell'adrenalina che si propaga in tutto il corpo ad ogni falcata, ad ogni salto sull'asfalto, ad ogni muscolo tendersi per lo sforzo, ad ogni respiro che esce corto dalla mia bocca.

È per questo che lo faccio. Per tutto ciò. Ecco perché corro.

Arrivo a casa e mi fermo di colpo. Avrei dovuto studiare per capire come fermarmi dopo aver corso, senza farmi male. Perché io sento dolore ovunque. È un po' come quando vai in bicicletta e poi ti fermi, ma senza frenare. Semplicemente salti giù dalla bici e inciampi nel terreno, perché la bici corre ancora veloce, mentre tu non sei più in sella. E poi cadi e ti aggrappi al manubrio della bici, che fra l'altro non hai mai lasciato e forse è stato questo il problema. Magari, se avessi lasciato che la bici si andasse a sbattere contro qualcosa, non ti saresti fatta male. E magari, se mi fossi resa conto che il mio corpo non sarebbe stato in grado di reggere una corsa, senza neppure aver fatto una passeggiata come riscaldamento – adesso capisco anche l'insistenza dei professori di educazione fisica nello svolgere il riscaldamento in maniera adeguata prima di qualsiasi allenamento – adesso non mi sentirei come se i polmoni volessero scoppiarmi e i muscoli delle gambe cedermi e il viso bollente, mentre l'aria è gelida mi fa male sulla pelle accaldata.

Mi levo la giacca di pelle e il vento freddo mi dà fastidio sulla schiena sudata. Metto le mani sulle ginocchia, piegandomi in due. Il cuore batte fortissimo, lo sento in gola. La milza mi duole mentre mi raddrizzo, facendo una smorfia di dolore.

«Da quando in qua corri?»

Mi giro verso la voce, ma non mi spavento. Sapevo di trovarlo qui.

«È...» mi interrompo, il fiato corto mi impedisce di esprimermi bene e inoltre la milza non ha smesso di farmi male.

Stefano però non dice niente e attende paziente che riesca a calmare il mio respiro, con le braccia incrociate al petto, poggiato al muretto di casa mia con una borsa posata per terra, davanti ai suoi piedi.

La prima volta ti travolgeWhere stories live. Discover now