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Mi stiracchio nel letto, ancora mezza addormentata.

Stanotte io e Stefano siamo andati a dormire alle due. Abbiamo parlato di cose sciocche e banali, senza entrare nei dettagli di nessun argomento in particolare. A tratti tornavamo per sbaglio a ricordare i tempi andati. Nulla di imbarazzante: dal canto mio, ho provato solo tanta malinconia per quello che abbiamo perso. Stefano, invece, sembrava rimuginarci su più a lungo, ma ho ignorato qualsiasi sua battuta acida con la quale si rimproverava apertamente di essere stato un idiota.

Alla fine abbiamo finito lo yogurt che era rimasto e io non ho più accennato al discorso su mio padre, sviando anche tutti i suoi tentativi di ritornare sull'argomento. Mi sono convinta di aver sentito male e alla fine questa mia convinzione è divenuta certezza spinta.

Ho sentito male.

Ho sentito male.

Ho sentito...

La sveglia sul mio cellulare suona per la seconda volta e io mi precipito a prepararmi, comunque controvoglia.

Poi scendo di sotto, sbadigliando in mezzo alle scale e stropicciandomi gli occhi come una bambina di quattro anni.

Automaticamente mi dirigo verso il salotto.

Quella notte, Stefano si è addormentato come un bambino sui morbidi cuscini del divano, mentre chiacchieravamo da ormai oltre due ore. Io non me la sono sentita di svegliarlo, così gli ho portato una coperta e sono andata a dormire al piano di sopra. Il fatto che lui fosse lì, sul divano di casa mia, uno scenario che mai e poi mai mi sarei immaginata anche solo la mattina precedente, mi ha fatto tenere gli occhi aperti per oltre mezz'ora dopo essermi coricata. Ma alla fine la stanchezza ha avuto la meglio e sono crollata, staccando completamente il cervello.

Ma quando entro in salotto, con disappunto noto che il divano è vuoto. La coperta è stata piegata accuratamente e riposta a lato e i cuscini sono stati sprimacciati.

Ignoro la sensazione di delusione che sento opprimermi senza una logica precisa e vado in cucina.

È qui che lo trovo. Un biglietto, un foglio piegato a quattro e posato sul tavolo.

Mi avvicino cautamente credendo di stare avendo le allucinazioni. Poi sento qualcuno sbadigliare rumorosamente alla mie spalle e arraffo il biglietto frettolosamente, infilandolo senza cura nella manica della mia felpa.

«Buongio... mamma? Come mai sei già in piedi?» chiedo, sorpresa di non vedere la nonna piuttosto che mia madre.

Quest'ultima è già vestita e truccata leggermente. Ha raccolto i morbidi capelli castani in una coda bassa e la sua figura appare più scarna nei jeans neri e stretti che indossa. La T-shirt verde spento aderisce sul suo piccolo seno e mette in mostra il suo bacino stretto.

Mi viene vicino e mi schiocca un bacio sulla fronte.

«Buongiorno piccola! Volevo solo fare colazione insieme a te prima che andassi a scuola. Così oggi riuscirò a montare e a staccare prima da lavoro e potremo passare del tempo insieme. Ti va?»

Io rimango interdetta davanti al suo dolce modo di fare. Poi capisco che la nonna deve averle detto di Stefano.

Ah, se solo sapessero che una storia può cambiare nel giro di neanche mezza giornata.

Annuisco, restando però paralizzata dove sono.

«Perfetto! Allora preparo la colazione per entrambe» dice entusiasta, recandosi ai fornelli per fare il caffè.

Nel giro di dieci minuti prepara una colazione che divora con ferocia. Io un po' meno, ma comunque mi fa piacere che, al posto di chiedermi di ieri, abbia deciso di optare per l'opzione "mamma gentile che non forza la figlia a raccontarle quello che vuole sapere, ma che cerca di tirarla su con piccole cose, attendendo pazientemente che abbia la forza di confidarsi".

La prima volta ti travolgeWhere stories live. Discover now