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«Ciao» mormora a bassa voce Stefano, in piedi davanti a me con uno zaino in spalla e un sorriso che dico che no, non dovrebbe trovarsi sul suo viso pallido e tondo.

Lo guardo sbigottita. Non so se la prima cosa che mi viene in mente sia la più azzeccata in questo momento, ma non riesco proprio a pensare ad altro.

Si è tagliato i capelli?

«Mara, sono venuto per te» dice, continuando a sorridere. In qualche modo, credo che mi stia un po' prendendo in giro. Insomma, non sarebbe da lui, ma quel sorriso stampato in faccia mi sembra proprio che si stia facendo beffa di me.

«Volevo parlarti» prosegue, stringendo nervosamente la spalla del suo zaino.

Sì, penso che li abbia tagliati. I capelli, intendo. Di un biondo scuro, quasi castano, prima che io partissi avevano una forma meno precisa, più caotica. Gli ho detto così tante volte di farseli sistemare da un barbiere, che alla fine ho rinunciato a vederlo con un nuovo taglio di capelli, dato che la sua risposta è sempre stato un "no" categorico.

«Lo so, ho aspettato troppo tempo prima di farmi vivo.» China il capo e si massaggia le tempie con due dita della mano.

Perché li ha tagliati? Quando? E soprattutto, che cosa gli ha fatto cambiare idea?

«Ma adesso sono qui ed è questo l'importante.»

A quest'ultima frase, la mia mente si sveglia come da un'improvvisa tranche. I miei occhi incrociano i suoi per la prima volta dopo tanto tempo.

Mi era mancato, lo capisco solo ora. Mi è mancato il suo sguardo, i suoi occhi verdi e perennemente dolci. Il suo modo di dondolare sui talloni quando è insicuro e la sua voce, nonostante tutto, sempre ferma e matura. Sì, mi era mancato tutto ciò. Ma adesso non più. Adesso sono solo un ricordo.

«Devo andare a scuola.» Parlo per la prima volta e la mia voce risulta fredda e distante. Senza dargli il tempo di ribattere qualcosa, lo supero e percorro il viale in discesa, con lo zaino in spalla.

Questa mattina un vento leggero sferza le mie guance e mi meraviglio nel costatare che l'aria è più fredda e che l'autunno è definitivamente giunto, nonostante siano ancora gli inizi di ottobre.

«Mara, aspetta. Sono venuto per parlare.»

Stefano mi insegue, stando però sempre un passo indietro rispetto a me. Ha forse paura che lo picchi? Ne sarei capace, sì, ma non oggi, non dopo la giornata di ieri.

«Non voglio parlare, Stefano» ribatto asciutta, continuando a camminare a passo svelto. Indosso l'ennesima felpa e rimpiango di non aver portato con me anche una giacca a vento. Se ieri sera, con il gelo che faceva, non mi sono presa un brutto raffreddore, oggi è la volta buona che mi ammali definitivamente.

«Ti prego. Solo due minuti.»

Mi accorgo che ha il respiro affannoso e, guardandomi attorno, noto che siamo già quasi arrivati a scuola. Non stavo solo camminando: avevo cominciato a correre. Guardo l'orario e mancano ancora dieci minuti alle otto.

Mi fermo e incrocio le braccia al petto, come a incoraggiarlo a cominciare a parlare. Ha le guance arrossate e indossa una giacca di pelle. Sarà venuto in moto? Fino a qui? No, impossibile.

«Io...» comincia, ma si blocca immediatamente. Lo sapevo: non sa cosa dire. Chi lo saprebbe, in fin dei conti? In queste situazioni, il silenzio è l'unica via percorribile.

Con mio stupore, quella che sento subito dopo è la mia voce. «Perché hai tagliato i capelli?»

C-O-S-A-?

La prima volta ti travolgeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora