11 (parte 2)

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In fondo al corridoio c'è il laboratorio. È già stato aperto dalle bidelle, perché alle prime ore i quinti dovranno sviluppare una piccola tesina su tutti e cinque gli anni trascorsi qui a scuola.
Mi infilo dentro la stanza, che è buia. Alcuni fasci di luce entrano dalle serrande semi abbassate e mi lascio cadere per terra, scivolando contro la porta.

Poi bussano leggermente.

«Vada via!» urlo.

È così che mi rispondeva mia madre quando io bussavo alla sua porta dopo che aveva litigato con papà. Ma io sapevo che non voleva che lo facessi veramente, non voleva che me ne andassi. Perciò restavo e alla fine mi faceva entrare, anche se odiavo vederla piangere.

«Mara» mi chiama BB da dietro la porta.

Tiro su con il naso, mi alzo e apro la porta. Lui entra titubante nell'aula e mi cerca nella penombra. Quando mi trova, seduta su un banco vicino al muro, con la testa poggiata alla parete fredda e le mani chiuse a pugno sul grembo, mi raggiunge e si siede al mio fianco.

Non riesco a vederlo bene e non so che faccia stia facendo o cosa crede che stia accadendo. Probabilmente starà pensando che io stia piangendo in silenzio o che magari trattenga le lacrime, ma la verità è che non mi viene più da piangere. Non ci riesco e non voglio farlo. Tutto quello che provo adesso è solo rabbia.

Stringo ancora di più i pugni e una mano me li avvolge completamente neppure un istante dopo, spaventandomi. Mi giro verso BB e vedo il suo profilo, ma niente di più.

Mi raddrizzo, immobile davanti alla sua mano sulle mie e al suo tocco che non mi è nuovo.

«So come si sente.»

O no, non doveva dirlo. Non ora, non così. La sua voce spezza il silenzio, mandandomi in bestia. Le sue parole non potrebbero essere meno azzeccate come in questo momento.

La rabbia rinfuoca nuovamente dentro di me e sulle mie guance. Stringo più forte i pugni che avevo cominciato a rilassare e mi volto a guardalo su tutte le furie.

«Davvero?» sputo acida.

Lui si gira a guardarmi e, una piccola parte me, quella più razionale, spera che non riesca a vedere lo sguardo iniettato di sangue che gli sto rivolgendo.

Ritrae la sua mano lentamente. Sta capendo e spero non continui la discussione.

«Lasci perdere. Non voglio farla arrabbiare» mormora pacatamente.

Ma ormai è tardi. Mi sento ardere, il cuore batte all'impazzata. Ho bisogno di sfogarmi, perché non è giusto che non possa mai farlo con nessuno.

«No, non lascio perdere! Chi si crede di essere lei? La mia vita era perfetta prima di questo posto, prima che lei arrivasse e mi prendesse per una specie di ragazzina ferita che ha bisogno di qualcuno che la ascolti e che la consoli. Io non ho bisogno di questo!» urlo.

BB resta in silenzio e fissa il buio tra noi. Le mie parole sferzano l'aria e gli arrivano dritte in faccia, come una sberla.

«Cosa diavolo crede di fare standomi accanto, ascoltandomi, accarezzandomi, come se fossi una povera vittima? Lei non sa niente di me! Io non sono né sua figlia né una che ha bisogno di essere salvata o sfidata con stupidi test!»

«Il mondo non gira intorno a lei e al suo egocentrico modo di testare la gente. Crede che sia davvero così capace di curiosare nel suo triste passato, quando ho già il mio a cui pensare?»

Non risponde, ma io non voglio che lo faccia.

«Se vuole saperlo, anche io potrei fare un'intera ricerca su quello che ho passato e il mio ragazzo ha pensato bene di aggiungere un'altra bella pagina alla lista infinita di cosa che mi hanno fatta soffrire, tradendomi senza scrupoli.»

La rabbia diminuisce ad ogni parola, come anche la mia voce, che si spezza quando nomino Stefano. Un magone in gola mi blocca e mi manca il fiato.

Mi alzo e prendo a camminare avanti e indietro. BB resta seduto a fissare la mia ombra.

«Perché cavolo lo ha fatto?» chiedo, più a me stessa che al prof. A questo punto anch'egli si alza, ma resta fermo davanti al banco.

«Cosa cazzo gli ho fatto per meritarmi questo?»

Scoppio in lacrime, lacrime di dolore, rabbia, confusione, tristezza, ricordi che se ne vanno. Mi porto le mani al viso e piango della mia vita e di Stefano e di tutto questo dannato dolore che ho dentro.

All'improvviso, due braccia mi avvolgono completamente ed io poso la testa sul petto di BB, afferrandomi a lui con entrambe le mani, come se potessi crollare da un momento all'altro. Per la prima volta, mi sento protetta in una città che mi ha distrutta dal dolore e solo grazie al rumore del suo cuore che, voglio crederlo, voglio urlarlo al mondo intero, in questo piccolo istante batte solo per me.
Singhiozzo e lui prende ad accarezzarmi la testa, la schiena e le guance lentamente. Mi prende il viso tra le mani e io continuo a singhiozzare. Non vedo il suo volto, ma sento il suo respiro profondo e il suo profumo invadermi. Il suo viso si fa più vicino al mio e mi sfiora il naso con il suo. Singhiozzo un'ultima volta e il mio petto smette di andare su e giù velocemente. Mi calmo, mentre nell'ombra due occhi chiari mi scrutano da vicino.

Sollevo lentamente un braccio e la mia mano si avvicina al suo viso. Passo un dito lungo la linea della sua barba, nel punto in cui questa finisce e inizia la guancia. Sotto il mio polpastrello sento una leggera cicatrice, lunga più o meno un paio di centimetri. Al mio tocco, BB chiude gli occhi e li riapre solo quando lascio cadere di nuovo la mano lungo il fianco.

Deglutisce e avvicina le labbra alla mia guancia, posando un bacio lì dove prima c'è stata una lacrima. Lo fa un'altra volta e poi un'altra ancora, dolcemente.
Allontana di nuovo il viso, restando però a un centimetro di distanza dal mio. Mi guarda negli occhi e io so che, anche se non riesco a vederle, le sue labbra si piegano in un sorriso premuroso. Si avvicina ancora, il suo respiro è sulla mia pelle.

Le nostre bocche si sfiorano proprio quando la campanella prende a suonare rumorosamente.

La prima volta ti travolgeWhere stories live. Discover now