8 (parte 2)

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Mi sveglio di soprassalto, madida di sudore. Scruto le mie braccia e anche il collo, ma non c'è alcun livido o graffio. Niente di niente.

Era solo un incubo. Sempre quello, sempre lo stesso.

L'abat jour sul comodino è acceso e dalla finestra entrano i primi raggi del sole. Mi alzo, sospirando. Vado in bagno e faccio scorrere l'acqua calda della doccia, mentre mi spoglio.

Quando mi sono lavata, mi asciugo in fretta con il phon e lego i capelli ancora umidi. Poi scendo al piano di sotto per fare colazione.

Sono appena le sette del mattino e la casa è molto silenziosa. Poso il cellulare sul tavolo e recupero il latte dal frigo e una scatola ancora chiusa di cereali al cioccolato dalla credenza. In una tazza, verso prima i cereali e poi il latte e prendo a mangiare silenziosamente.

Sto masticando il secondo boccone, quando il cellulare vibra dall'altra parte del tavolo. Lo prendo e trovo due messaggi di Stefano.

Dobbiamo parlare, Mara.

Chiamami appena puoi.

Lo stomaco mi si chiude e non posso fare altro che pensare al peggio. Perché non mi aspetto nulla di buono?

Dopo il litigio avuto l'altro giorno al telefono, non si è fatto più sentire ed io ho deciso di dargli del tempo per riflettere. So che ne aveva bisogno. D'altro canto, la giornata di ieri è servita molto anche a me per pensare a quello che ci sta succedendo. E alla fine sono giunta alla conclusione che poteva capitare a chiunque, che l'amore è anche questo: litigare e riuscire a riappacificarsi. Perché è questo che accadrà, vero? Vuole parlarmi per fare pace, no?

Finisco di mangiare la mia colazione, prendo il cellulare ed esco fuori, lasciando la porta di casa socchiusa alle mie spalle. Mi siedo sui gradini di ingresso e digito il numero di Stefano, ancora finendo di masticare l'ultimo boccone. Il suo numero è l'unico che conosco a memoria – a parte quello di mia madre – e questo mi rattristisce un po' al momento. Sapere che non parli da due giorni con una delle poche persone di cui ti fidi ciecamente e che ti conosce come pochi, non è una bella cosa.

Il cellulare squilla per esattamente sei volte prima che Stefano mi risponda. Li ho contati nervosamente, gli squilli. Dall'altra parte non proviene nessun rumore ed io resto in attesa di un suo segnale di vita. Sento il suo respiro profondo, ma per il resto vi è il silenzio più totale.

Guardo attorno a me. L'aria del mattino è piuttosto fresca e il sole fa capolino dietro le case. Il cielo è limpido e gli uccellini cinguettano come se ci fosse qualcosa di cui essere felici tanto da canticchiare in armonia. Quanto vorrei farlo anche io in questo istante. Canticchiare dalla felicità, intendo.

«Non credevo mi avresti chiamato così presto» dice dopo un altro minuto di silenzio. Ha la voce stanca e capisco che probabilmente stanotte non ha dormito. Sorrido malinconicamente.

«Non ti ho svegliato, giusto?» chiedo, quasi sussurrando.

«No, non ti preoccupare. Non ho chiuso occhio stanotte.»

Sospira e cade di nuovo il silenzio.

«Devo dirti una cosa, Mara» mormora.

«Che voce seria! Non mi dirai che alla fine hai deciso di lasciare la scuola, vero?» scherzo io, ma non ottengo nessuna risposta. Gioco con il laccio della della mia scarpa destra, attorcigliandolo attorno all'indice.

«No, io...» incalza.

«Stefano, non c'è bisogno che tu dica niente» lo interrompo, alzando il capo. Ho bisogno di farlo. Non posso stare ad ascoltare, perché so che non ce la farei.

«Facciamo così: rifletti ancora un po' su quello che vorresti dirmi. Nessuno ci costringe a chiarirci così, al telefono. Ci meritiamo altro, qualcosa di più.»

Ma che cosa diavolo sto dicendo?

«Mara, io non so davvero se stiamo andando bene. Non lo capisco più» mormora, affranto, lui.

«Non dire così...» La voce mi si spezza e trattengo il respiro per evitare di scoppiare a piangere.

Stefano tira su con il naso e si schiarisce la gola.

«Hai ragione tu. Dobbiamo vederci» dice, convinto.

«Ci vedremo. Presto» ribatto, più a me stessa che a lui.

«Okay, va bene. Adesso... adesso devo andare.»

Resto in silenzio, poiché ha tutta l'aria di voler aggiungere qualcosa.

«Ti amo» sussurra titubante alla fine.

Ed io non so il perché, ma chiudo prima di riuscire a rispondergli.

La prima volta ti travolgeWhere stories live. Discover now