1.16 • SACRILEGIO

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I miei occhi, abituati all'oscurità, non riuscivano a rimanere aperti. Ci misi parecchio a mettere a fuoco ciò che avevo davanti. Però percepivo distintamente la presenza di Yumi e Devon al mio fianco.

Un piccolo volto si stagliava a pochi centimetri dalla mia faccia e mi fissava dall'alto.

Una bambina?

«Vi stavamo aspettando» disse.

Altre tre bambine ci circondarono. Cominciarono a sussurrare qualcosa; sembrava quasi stessero canticchiando una canzoncina. Man mano che loro cantavano, tutta la stanchezza fluiva fuori dal mio corpo. Non avevo più fame, né freddo. Riuscivo di nuovo a vedere bene. Mi misi a sedere, mi voltai a guardare i miei amici e mi accorsi che anche loro avevano ripreso colore.

«Grazie» disse Yumi con voce flebile.

Riuscii finalmente a guardarmi intorno. Vidi le grosse colonne costeggiare la pianta circolare. E vidi il Fuoco. Eravamo nel tempio di Vesta. E, quindi, quelle bambine dovevano essere... Vestali.

Piccole, deliziose e appena inquietanti Vestali di sette anni.

Uscimmo dal tempio quando ormai era quasi buio. Riuscivo a scorgere, in lontananza, degli uomini di spalle: vestiti di nero, con lo scudo legato sulla schiena e la spada attaccata alla vita: Equites. Circondavano interamente i due templi, quello di Vesta e quello della Sibilla. Nonostante non fossi decisamente un'appassionata di equipaggiamenti militari, rimasi incredibilmente colpita dai loro scudi di bronzo. Erano strani. Avevano una forma bilobata che mi ricordava la cassa di una chitarra e, anche se gli Equites li trasportavano sulla schiena con estrema disinvoltura, parevano pesantissimi.

«Vorrei cercare mio padre» dissi.

«Anche io» rispose Yumi. «Ma dobbiamo prima andare dalla Sibilla».

Il tempio della Sibilla, come ormai avevo imparato a prevedere, era perfettamente integro e conservato. Era interamente realizzato di travertino immacolato. C'era una scalinata, un tetto intatto: elementi che non avevo mai visto. Di fronte all'ingresso quattro colonne alte almeno dieci metri, poi un portone aperto.

Attraversammo il primo ambiente in un silenzio surreale, poi ci affacciamo nel secondo, nel mezzo del quale una persona sedeva per terra, di spalle, la figura quasi interamente coperta dal lungo velo di seta bianca che aveva sulla testa.

La Sibilla si voltò di scatto ma ci guardò con sguardo vacuo, come fosse in trance. Il suo volto diafano, che avrebbe dovuto essere fiaccamente illuminato solo dalla manciata di torce appese al muro, sembrava invece emanare esso stesso uno strano, tenue bagliore. Ma la cosa che più mi stupì fu un'altra: la Sibilla era una ragazza di vent'anni al massimo. Sedeva sulle gambe, protesa in avanti con i lunghi capelli biondi che le ricadevano sulle spalle finto al pavimento, insieme al velo.

Suscitando in me un certo sgomento lievitò di qualche centimetro.

La bambina di prima comparve apparentemente dal nulla alle spalle della Sibilla e avanzò in silenzio fino a posizionarsi davanti a noi.

«La Sibilla vi ringrazia di essere venuti» disse, fissandomi. «Dice che gli Equites devono essere liberati e che tu devi aprire il portale».

«E quando lo ha detto?» domandò Yumi.

«Non è nostra abitudine fornire spiegazioni riguardo le profezie dell'Oracolo» disse la bambina. «Abbiamo già fatto un'eccezione».

«Ti ringrazio» dissi, soffocando una punta di disagio. «Ma come dovrei fare ad aprire questo portale?»

«Questo lo sai già».

Si voltò e se ne andò fluttuando.

«Ok» dissi ai miei amici. «Questo potrebbe essere un problema».

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