2.19 • TIZIO, CAIO E HARPASTUM

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Anche mia madre e Kumiko avevano reagito come Yumi e i ragazzi.

Ne avevamo parlato a profusione durante il pomeriggio e la cena, ma non eravamo arrivate a nessuna conclusione. Tutte loro erano assolutamente convinte di essere state da sempre a conoscenza dell'esistenza del terzo gemello Vanhanen.

«Rami mangiava a mensa con Maia  ed Heikki, lo scorso anno» provò Yumi, stravaccata sul divano, dopo cena. «Te lo ricordi?»

«No che non me lo ricordo» risposi. «Ti dico che non c'era».

«Al processo?» chiese ancora.

«Non c'era neanche al processo» sbuffai. «Non l'avevo mai visto prima dell'altro giorno».

«Non potrebbe dipendere dalla maledizione che ha addosso, Arianna?» domandò Kumiko, preoccupata.

«È possibile che la maledizione abbia indebolito anche altri aspetti della sua memoria?» chiese Yumi.

«Direi di no» rispose mia madre, guardandomi accigliata. «Una cosa del genere non era mai successa, prima d'ora».

«Voglio parlare con Gilbert» dissi. «Solo lui può darci qualche risposta».

«Gilbert non c'è» tagliò corto mia madre.

«E dov'è?»

«Giù con la Setta».

Yumi e Kumiko si scambiarono un'occhiata, poi si alzarono e ci diedero rapidamente la buonanotte.

«C'erano solo Maia ed Heikki, con la Setta, l'anno scorso» dissi, poiché mi era appena tornato in mente. «Non vorrai affermare il contrario, spero».

«Abbassa la voce» intimò.

Non avevamo mai rivelato a nessuno della loro natura di mezzi geni e, di conseguenza, del loro soggiorno con la Setta. Secondo mia madre sarebbe stato come tradire un legame di sangue.

«E comunque c'era anche l'altro gemello» concluse.

«Voglio tornare alla Setta» dissi, alzandomi in piedi.

«Certo» annuì mia madre, roteando gli occhi. «Come se sapessi come raggiungerla».

Era vero, non lo sapevo. Però sapevo che, se avessi chiamato Kirk, lui mi avrebbe sentito e sarebbe venuto da me.

«E lascia in pace quel genio, Kierkegaard» sibilò mia madre. «Gli hai già creato abbastanza problemi con le tue trovate».

Le mie trovate? La mia trovata era stata rischiare la vita per cercare di salvare la sua.

«Non l'ho certo costretto io a seguirmi» dissi, anche se il ricordo del suo volto deturpato bruciava sulla mia coscienza come una colata di acido.

«Hai un forte ascendente su di lui» disse, «perché sei la nipote di Enea».

«O forse non ho alcun ascendente su di lui» precisai. «Forse mi ha seguita semplicemente perché siamo amici».

«Sì, certo» sbuffò. «Così amici che ti ha rivelato la tua vera identità solo quando ha ritenuto che fossi diventata utile ai suoi scopi. E, cioè, solo quando ha pensato di poterti usare per appropriarsi del Lapis Niger».

Feci un passo indietro, sentendomi schiaffeggiata.

«Perché parli così di lui? Eppure mi sembrava che ti piacesse».

«Mi piace» confermò. «Era il discepolo di mio fratello e ti è stato di grande aiuto, fin quando siamo stati nel sotterraneo. Però, una volta lasciato quel posto, è stato necessario ristabilire i ruoli: lui è a capo della Setta. Noi siamo dalla parte del Pontifex e dell'Impero. I nostri interessi sono in conflitto e tu non puoi più valicare quel confine».

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