2.18 • RAMI

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Yumi, alla drammaticità con cui avevo raccontato la mia versione dei fatti, aveva riso a crepapelle.

«Scusa tanto, se mi sono preoccupata» le dissi.

«Mi sarei preoccupata anch'io, se non fossi stata avvertita dell'usanza» disse la Di Pietro, incoraggiante.

«Poteva dirlo anche a me» sbuffai.

«Non ci ho pensato, scusami» rispose la professoressa. «È un'usanza della zona. La sposa viene rapita dagli amici dello sposo e portata in un luogo segreto. Allo sposo viene poi portato un oggetto della sposa, in genere una scarpa, e richiesto un pagamento per riaverla indietro. Questo è, ovviamente, del tutto simbolico: possono essere alcolici o una piccola somma di denaro».

Certo. Lo avevo capito. Dopo un breve momento in cui l'indignazione nel vedere la mia amica scambiata con una cassa di birra aveva quasi avuto la meglio sul mio raziocinio.

«È stato molto divertente, comunque» disse Yumi. «I familiari e gli amici di Flacara sono belle persone».

«Chissà se avremmo ancora occasione di rivedere Flacara» dissi.

«Ne sono sicura» rispose la professoressa, allungando un obolo al traghettatore. «Ma ora dobbiamo scendere. Siamo arrivate».

Non riuscivo a credere di essere di nuovo a Villa Adriana

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Non riuscivo a credere di essere di nuovo a Villa Adriana.

Quella manciata di giorni in Romania mi avevano dato l'illusione di essermi lasciata alle spalle tutti i problemi e le preoccupazioni che mi avevano attanagliato nell'ultimo periodo. E, invece, tornando, li avevo ritrovati ancora lì, ad aspettarmi in agguato.

Mi stavo preparando per la cena di Natale e, con ogni colpo di spazzola che infliggevo con foga ai miei capelli ormai lunghi fin quasi alla vita, mi tornavano alla mente un pensiero dopo l'altro: il comportamento assurdo di Rei e la mia umiliante reazione da sottona, la sufficienza con cui mi aveva trattata Gilbert, Devon maledetto ed esanime, la condanna a morte di Dafni sempre più prossima... e poi Daniel. Tra tutti i pensieri, lui avrebe dovuto essere il principale. Eppure, sembrava che il mio cervello si rifiutasse di sostarci troppo a lungo.

Nostra madre aveva sempre odiato il Natale, fin da quando eravamo piccoli. L'anno precedente avevo passato il natale a Tibur, insieme alla signora Petrocchi e al resto della giuria, e Daniel era rimasto solo.

Mi ero ripromessa, soffocando il senso di colpa, che l'anno successivo ci saremmo rifatti. E, invece, l'anno successivo era arrivato ma noi avevamo perso un'altra occasione. Il primo giorno delle vacanze di Natale eravamo partite per la Romania ed eravamo tornate solo il giorno della vigilia, nel pomeriggio. Avevamo trovato la casa di Yumi, in cui ci eravamo momentaneamente trasferiti, già tutta addobbata.

«Mia madre ama queste cose» mi aveva detto Yumi. «Lei e Daniel hanno sicuramente fatto l'albero insieme».

Immaginare Daniel in compagnia di Kumiko, che era dolce e accogliente proprio come avrebbe dovuto essere una madre, mi aveva tirato un po' sul il morale. Però non cambiava la realtà delle cose: lo avevo lasciato solo ancora una volta, proprio in un periodo così delicato per lui.

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