3.2 • MALEDETTE COSCE SECCHE

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Parlare di Gilbert, quella notte, mi aveva fatto bene. Gaia non sapeva niente di lui e io avevo potuto raccontare a ruota libera.

Fu l'ultima volta.

«Eppure a me non sembra affatto che tu stia bene, Ania» mi disse Yumi, seduta accanto a me sul bordo della piscina delle Grandi Terme di Villa Adriana.

«Sto benissimo, invece» risposi, scocciata.

Yumi, da quando eravamo rientrati a Villa Adriana sul finire di agosto, aveva iniziato a darmi sui nervi. Non aveva fatto altro che osservarmi, studiarmi e soppesare ogni mio gesto, parola o intenzione.

Alcune volte, mentre parlavo con Devon o con gli altri, nella vana speranza che lei mi stesse lasciando in pace, la ritrovavo con lo sguardo fisso su di me, le sopracciglia aggrottate e l'espressione contrita.

«Allora? Quale altra idea malsana state partorendo quest'anno? Quale altra missione suicida?» domandò Nate, issandosi sulle braccia muscolose e mettendosi a sedere sul bordo accanto a Yumi.

Nate era estroverso e sbruffone come al solito, in apparenza. Io, però, lo sentivo. Lui non aveva perdonato Devon per non averlo coinvolto nella folle impresa del funerale di Dafni.

Ogni volta che Nate mi era vicino, qualcosa si smuoveva nel mio stomaco, rendendomi nervosa e irrequieta: le mani mi formicolavano come se si fossero appena risvegliate da un lungo intorpidimento, tutto ciò che avevo intorno prendeva a infastidirmi e a starmi stretto, persino le scarpe e i vestiti.

Non appena Nate ci raggiunse sul bordo, nonostante non avessi scarpe né vestiti addosso, fatta eccezione per il subligaculum e lo strophium, avvertii l'esigenza di allontanarmi da lui: entrai quindi in acqua con disinvoltura, e arretrai di quel tanto che bastasse per sentirmi sicura.

Non sono più capace di controllarmi, senza il medaglione.

Perché, purtroppo, il mio medaglione giaceva senza potere alcuno sul fondo di un cassetto della mia scrivania.

«Sì, ovviamente» gli rispose Devon, a mollo davanti a lui. «Se quella non era Dafni, lei dov'è? Devo trovarla».

«Potrebbe essere riuscita a scappare prima di essere imprigionata, subito dolo lo spegnimento del Fuoco» propose Yumi, muovendo appena i piedi affusolati nell'acqua.

«Oppure lo scambio potrebbe essere avvenuto in prigione» ribatté Devon.

«Certo» convenne Nate. «I Reazionari potrebbero aver corrotto qualcuno per averla indietro».

Nuoticchiai lentamente fino a raggiungere a Iulian, seduto poco distante da Nate.

«Tu non tiri la tombola?» gli chiesi, quando mi sentii il suo sguardo grigio addosso.

Lui abbozzò un sorriso. Il giavellotto che qualcuno aveva scagliato contro di me lo aveva colpito di striscio sul viso, portandogli via un pezzo del sopracciglio sinistro e regalandogli una cicatrice sullo zigomo di cui, ero certa, avrebbe fatto volentieri a meno. Ma lui non ce l'aveva con me, né per la cicatrice né per altro. Lui non ce l'aveva mai con nessuno e questo lo rendeva uno dei pochi Umani la cui presenza, con la sua pacata compostezza a prova di genio, anziché turbarmi, aveva su di me un rassicurante effetto benefico. Iulian non perdeva la calma neanche in battaglia. E neanche durante l'harpastum che era, forse, ancora peggio di una battaglia.

«Se l'avessero presa i Reazionari si tratterebbe sicuramente di un rapimento» disse Devon. «Lei non sarebbe mai andata con loro di sua volontà».

«Ne sei proprio sicuro?» gli chiese Yumi, scettica. «Non ci dimentichiamo che con la sua condotta ha provocato lo spegnimento del Fuoco».

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