3.8 • GRAPPA DELL'ACROPOLI

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Di situazioni imbarazzanti, negli ultimi due anni, ne avevo vissute a bizzeffe. Se qualcuno mi avesse chiesto di elencarle non avrei saputo neanche da dove cominciare. Credevo di essere un'esperta, a quel punto. E invece, trovarmi con solo una maglietta indosso nella stessa stanza con mia madre, Kirk e Rei, oltre a rappresentare una scoppiettante variazione su quello che era il tema delle mie figure barbine standard, superava di gran lunga i miei peggiori incubi.

Rei, vestito da Eques, da servo dell'Impero, come l'aveva definito Kirk, non si era mosso e non aveva mutato espressione. Ma io ero assolutamente certa che lo avesse riconosciuto.

Lui era un Eques e aveva sorpreso me, la sua ragazza, in compagnia di un ricercato evaso di galera e condannato a morte. Lui sapeva della mia amicizia con Kirk, gliel'avevo raccontato l'anno precedente e non mi era sembrato particolarmente infastidito dalla cosa, anzi. Trovarselo davanti, però, lo metteva in condizione di dover decidere alla svelta. Lasciarlo andare senza denunciarne la presenza significava tradire il suo ordine e l'Impero. Denunciarlo... denunciarlo significava tradire me.

Rei, in quell'atmosfera che sembrava come sospesa, avanzò di qualche passo, fino a raggiungermi, mi carezzò appena la testa e mi lanciò un'occhiata rassicurante, poi tese la mano a Kirk.

«Piacere di conoscerti» disse. «Sono Reijiro».

«Piacere mio» gli rispose Kirk, afferrando la sua mano. «Sono... Jurgen. Un amico di Ania. Ma stavo andando via».

«Non è necessario» gli rispose Rei, poi si voltò a guardarmi. «Sono passato solo per un saluto, vado a dormire da mia madre. Ci vediamo domani».

No, no. Io e Rei non ci vedevamo da mesi, non... no, non c'era altra possibilità. Che Kirk fosse in grado di usare la psicocinesi non era più un segreto, visto che l'aveva usata al Foro per salvarmi e in molti lo avevano visto. Però, usarla davanti a Rei avrebbe significato mandare in quel paese Jurgen e ammettere di essere proprio Jesper Kierkegaard. Quel Jesper Kierkegaard. Parimenti, di certo non avrebbe potuto andarsene uscendo dalla porta. Se qualcuno lo avesse visto uscire da casa mia... no, non si poteva proprio fare.

Afferrai il mantello di Rei, glielo sistemai sulle spalle senza il coraggio di guardarlo negli occhi, e poi me lo feci scivolare tra le dita.

«Ci vediamo domani?» gli chiesi.

«Certo. Buonanotte, Arianna» rispose lui, poi alzò lo sguardo su Kirk. «È stato un piacere».

«Buonanotte» rispose mia madre.

Rei e Kirk rimasero a fissarsi per quello che mi parve un tempo infinito. La luna e il sole, un Umano e un genio, due anime agli antipodi che mai si sarebbero dovuto trovare nella stessa stanza, a una distanza così ravvicinata, se io non avessi fatto da trait d'union.

Non è vero, balenò nella mia mente. Sono solo due ragazzi. In circostanze diverse avrebbero potuto essere amici, compagni, persino fratelli.

«Grazie» gli disse Kirk, infine.

Rei sorrise appena: un sorriso triste, trasudante la consolidata rassegnazione di chi è stato lasciato indietro.

«Grazie a te» rispose, prima di voltarsi e andarsene.

«Grazie a te» rispose, prima di voltarsi e andarsene

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