2.16 • CANCELLI DISCHIUSI

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«Aspetta, Melania» mi chiamò la professoressa, rincorrendomi nel cortile innevato. «Dove pensi di andare?»

«Via? O devo restare qui e aspettare che mi trucidino?» risposi.

«Nessuno ti truciderà, che esagerazione» disse. «Vi avrei mai messe in pericolo, secondo te?»

Mi scambiai un'occhiata con Yumi, poi guardai il tizio che era venuto ad accoglierci, quell'Ovidiu, che non aveva fatto una piega quando la professoressa mi aveva presentata come Vendicatore.

«Dai, sali sulla carrozza» insistette. «Dobbiamo andare. Ti spiegherò tutto strada facendo».

«Ti aspettiamo al ritorno, Lara» disse Ovidiu.

Lei annuì, salì a bordo a sua volta ed esortò il cocchiere a spronare i cavalli.

«A presto» disse.

«A mai più» dissi, seduta imbronciata e con le braccia incrociate accanto a Yumi.

«Dobbiamo ripassare da Sarmizegetusa se vogliamo tornare a Tivoli passando dal tempio. E dobbiamo restituirgli la carrozza».

«Ecco, a questo proposito» interviene Yumi. «È normale spostarsi in carrozza al giorno d'oggi?»

Guardai fuori, lungo la strada di campagna che avevamo imboccato appena lasciata la colonia. Sorprendentemente la nostra non era l'unica carrozza. Anzi. Sembrava che, da quelle parti, il carretto fosse un mezzo di locomozione all'ultimo grido.

«Qui in Romania non è così insolito» confermò la professoressa.

«Ma, più che altro» intervenni, dopo che la nostra carrozza ebbe affiancato e superato una macchina in corsa. «È normale che i cavalli raggiungano questa velocità?»

«Considerato che sono cavalli Superbi, direi di sì».

«La città di Flacara è vicina?» domandò Yumi.

«No, è dall'altra parte della Romania» rispose. «Arriveremo domani mattina. Forse conviene dormire un po'».

«Non credo proprio» dissi. «Voglio sapere degli Augustali».

La professoressa sospirò, si lasciò cadere contro lo schienale e poi alzò lo sguardo su di me.

«L'ordine degli Augustali, pur essendo un ordine minore, sine pignora, era il più influente di Tibur» disse. «Potevano farne parte solo maschi appartenenti allo strato più ricco della società».

«E, in concreto, cosa facevano? Oltre a ricoprirsi di gioielli, intendo» chiesi.

«In concreto, si occupavamo dell'organizzazione delle celebrazioni, in particolare di quelle sacre».

«Sembra un lavoro massacrante» dissi, disgustata.

«E scommetto che qualcosa, d'un tratto, è andato storto» disse Yumi. «Vero?»

Ah sì, ci avrei scommesso anche io. Perché tanto, a Tibur, finiva sempre così. Era andata così anche con la Setta. Bastava un solo attimo, un solo uomo con un solo pretesto o una sola ambizione, a frantumare tutti gli equilibri.

Forse perché, in fin dei conti, quegli equilibri non erano poi così stabili.

«Purtroppo sì» ammise la professoressa. «Alcuni Augustali, in quanto esponenti nobili di famiglie patrizie ed elettori formali del Pontifex, si sono sentiti in diritto di iniziare a pretendere di più. Per questo, dopo varie vicissitudini che studierete a scuola con il professor Leon, l'ordine è stato cancellato».

«Beh, insomma» obiettò Yumi. «Ovidiu sembrava vivo e in salute».

«Sì, ma solo qui in Romania. Perché gli Augustali di qui erano completamente estranei ai fatti accaduti a Tibur. E perché, storicamente, hanno sempre gestito egregiamente la colonia» disse. «A Tibur, però, l'ordine è stato formalmente soppresso».

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