2.29 • CONDIZIONE NON SODDISFATTA

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Raggiungemmo l'arco di Tito accompagnati da un silenzio spettrale.

«Sei sicuro che il posto sia questo, Devon?» chiese Yumi, guardandosi intorno. «Qui è tutto deserto».

«Sono sicuro» rispose, saltando giù dalla quadriga. «Dobbiamo camminare fino al sepulcretum».

«Fino al cosa?» chiese Yumi.

«La necropoli arcaica del Foro. Datemi retta. Mia zia non può essersi sbagliata».

«Vieni con noi?» domandai a Takeshi.

«Non posso lasciare la quadriga incustodita» rispose. «Ma vi aspetterò qui».

«Va bene» sospirai.

Trovarmi di nuovo al Foro con Yumi e Devon mi provocava sensazioni contrastanti. La loro presenza, da un parte, era piacevole e confortante come le mura di una casa calda. Dall'altra, però, Takeshi sembrava l'unico consapevole di quello che stesse facendo e averlo con noi sarebbe stato rassicurante.

«Dove si trova questo posto?» chiese Yumi.

«Proprio davanti al tempio di Vesta. A ciò che resta del tempio di Vesta, anzi. Sbrighiamoci, è quasi ora».

Raggiungemmo il rudere composto da tre sole colonne che ormai conoscevamo alla perfezione e, stando alle informazioni di Devon, ci ritrovammo la necropoli arcaica proprio sotto i piedi .

«Dobbiamo nasconderci» sussurrò Devon, all'improvviso. «Stanno arrivando».

Era vero. Nel silenzio tombale del sito archeologico chiuso per la notte si distingueva il rumore dei passi di quello che, con ogni probabilità, era un corteo funebre. Non avendo tempo per cercare di meglio, ci accovacciammo dietro i miseri resti di una qualche costruzione, proprio lì davanti, a due passi.

«Devon» sussurrò Yumi, sbirciando appena da sopra il muretto. «Ci siamo. Stanno arrivando».

Dafni non mi era mai stata particolarmente simpatica

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Dafni non mi era mai stata particolarmente simpatica. L'avevo incontrata, in realtà, una sola volta e cioè lo sciagurato giorno in cui si era spento il Fuoco. Sospettavo di lei e di ogni sua mossa, dalla nomina di Nerissa come Eques, per fortuna mai realmente concretizzata, al suo sconsiderato accoppiamento con Devon che sarebbe potuto costare la vita a entrambi.

Però.

Non meritava una fine del genere. Nessuno l'avrebbe meritata. Era troppo.

Due uomini incappucciati la stavano conducendo su una lettiga chiusa verso il luogo della sua fine. Seguiva un corteo scarno e silenzioso. In prima fila, accerchiato dalla guardia pretoriana, c'era il Pontifex, quel vecchio rinsecchito in toga bianca che avevo già avuto modo di incontrare al funerale di Kento. Subito dietro di lui e la sua scorta due persone in lacrime: i genitori di Dafni, immaginai. La signora Petrocchi, la Di Pietro e Clio in terza fila, come portavoci delle Vestali, probabilmente. E poi, inaspettatamente, due Equites: mio padre e Rei, che, quasi certamente, erano stati scelti come rappresentanza dell'ordine in quanto membri più anziano e più giovane. Il mio sguardo, mio malgrado, indugiò sul viso di Rei.

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