1.26 • SETE

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«Sai cos'è questa?» mi chiese Kirk il giorno seguente.

«Una frusta?» domandai, e feci per afferrarla.

«Esattamente» rispose lui, sottraendola alla mia presa.

Il ruscelletto quel giorno scorreva particolarmente impetuoso, segnale che fuori, probabilmente, stesse piovendo.

«E sai cosa potresti fare con questa in mano?»

«No».

«Senza praticantato, senza allenamento e senza la minima cognizione di ciò che stessi facendo sei riuscita a controllare contemporaneamente più persone, quella volta in gita».

«Non parlarne come di una performance entusiasmante, per favore» dissi.

«Beh, ma lo è stata».

I gemelli Vanhanen, da quando avevo raccontato della gita, mi guardavano con occhi diversi. Soprattutto Heikki. Sembrava quasi che mi portasse rispetto.

«Allora, se non vuoi parlare della gita, parliamo della tua claustrofobia» propose Kirk.

Non mi piaceva stare al centro dell'attenzione in quel modo. Apprezzavo l'aiuto che Kirk e Jurgen mi stavano offrendo ma, da quando li avevo conosciuti, praticamente non avevamo mai parlato di loro.

«Oppure potremmo parlare di te» proposi.

«Non sono io ad aver bisogno di essere aiutato, qui» rispose.

«Cosa vuoi sapere della claustrofobia?» chiesi, controvoglia.

«Non voglio sapere niente» rispose lui. «Voglio dirti qualcosa, piuttosto: non esiste».

«Mi è stata diagnosticata da una terapeuta».

«Molto interessante» disse, accendendosi una sigaretta e facendo accendere anche Jurgen. «Sono settimane che vivi sottoterra senza  accusare il minimo sintomo. Cosa ne direbbe la tua terapeuta?»

Ah, e chi avrebbe potuto mai dirlo. Se le avessi raccontato tutto quello che mi era accaduto a partire dall'inizio dell'anno scolastico probabilmente mi avrebbe fatto fare un TSO.

«E quindi qual è la tua controdiagnosi, dottore?» chiesi.

Kirk offrì da fumare anche a Heikki, ma lui rifiutò.

«La mia diagnosi è che tu, così come tutti gli altri geni cresciuti in superficie, hai paura di rimanere intrappolata in un posto chiuso con uno o più Umani. Perché ti senti schiacciata dai loro stati d'animo e dal tuo stesso numen».

«Vedi, Ania» aggiunse Jurgen, «qui sotto non ti senti oppressa perché non ci sono Umani».

«Quindi, se fosse un genio a desiderare vendetta, non sarei in grado di percepirlo?»

«Certo che lo percepiresti» rispose Jurgen, «ma per motivi diversi. Sarebbe a causa dell'empatia tra geni».

Cercai di fare un attimo mente locale.

L'ascensore. La metro. L'Ikea.

«Potreste non avere torto» concessi.

«La buona notizia è che, nel momento stesso in cui avverti lo stato d'animo di un Umano, significa che puoi controllare quell'Umano» disse Kirk, poi finalmente mi porse la frusta. «Con l'arma giusta in mano puoi controllarne una massa».

«Che genere di massa?» chiesi.

«Considerato il tuo potere intrinseco, la tua genetica, i precedenti e l'intensità del tuo alone direi una grande massa» disse Jurgen. «Anche un esercito».

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