1.33 • ANIMUS BELLIGERANDI

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«Sei riuscita a trovare qualcosa?» mi chiese la Di Pietro, sbirciando le pagine del Libro Sibillino da sopra la mia spalla.

«No» risposi. «Questo libro è terribile».

Lo era davvero. Almeno un paio di volte avrei giurato di essere sul punto di scoprire la verità e poi... niente, poi venivo reindirizzata su un'altra pagina, altra epoca, altra Sibilla.

I geni si erano affrancati dagli umani nel 476 d.C., ricordavo quella data a memoria. Quindi, a partire da quell'anno, ero andata a ritroso nella ricerca. E avevo quasi subito trovato qualcosa, tipo:

Come profetizzato dalla Sibilla Cumana nel 357 d.C....

E allora via alla pagina della Sibilla Cumana del 357 d.c.

In accordo con quanto già predetto dalla Sibilla Tiburtina nel 278 d.C....

E, avanti di questo passo, mi ero già fatta più di cinque secoli. D'altronde, queste brevi reindirizzamenti erano le uniche righe scritte in linguaggio comprensibile. Il resto del testo sembrava composto da frasi buttate lì a caso e totalmente prive di senso.

«Sono arrivata al 204 a.c.» aggiunsi, stremata.

«E cosa dice?»

«Uno per ognuno dei sette» lessi. «Affinché il potere continui ad essere garantito ed equamente ripartito. La condizione è rispettata».

«Molto interessante» rispose, muovendosi vicino a me come un avvoltoio intorno a una carcassa. «Cosa accadeva a Roma in quel periodo?»

«Mi sta interrogando?» chiesi, sconvolta.

«C'è un motivo se costringiamo i Superbi a fare il liceo classico, Melania» disse lei.

Cercai di ricordare, ma avevo un vuoto. Persino la mia memoria fotografica, davanti a quel sovraccarico di informazioni incomprensibili, si era arresa.

«La battaglia di Canne?» mi chiese, dopo un lungo silenzio. «Ti dice qualcosa?»

«Certo» risposi, riscuotendomi e visualizzando immediatamente la pagina 168 del libro di storia. «216 a.C.. Annibale contro Varrone».

«Chi vinse?»

«Annibale, ovviamente».

«Quindi, nel 204, quale poteva essere la preoccupazione dei Romani, secondo te? Quale il motivo per cui andare a richiedere una profezia alla Sibilla?»

«Rispedire Annibale a Cartagine?» provai.

«Direi proprio di sì».

«Cosa c'entra questo con i geni e con il catalizzatore?»

La Di Pietro mi esortò ad alzarmi in piedi e a porgerle il libro. Si sistemò gli occhiali sul naso. Potevo vedere i suoi occhietti, resi minuscoli dalle spesse lenti degli occhiali, muoversi avanti e indietro tra le righe, frenetici.

«L'invasione di Annibale era stata profetizzata. Dobbiamo andare ancora più indietro» disse.

Non ne saremo mai venute a capo.

«Uh, guarda un po' qui» disse, invece, puntando il dito su una pagina.

«Il... dono del fulmine?» chiesi.

Frase tipica, parole in libertà. Quella non era roba per me, decisamente. Avevo iniziato la mia consultazione ore prima e ancora non ero riuscita a capirci niente.

«Stiamo sempre parlando di Annibale» mi rispose la Di Pietro.

«E dunque?»

«Dice che nel 216 sconfiggerà l'esercito romano» disse.

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