3.37 • IL DETENTORE DEL BRACCIO DELLA BILANCIA

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È troppo giovane per morire.

Morire. L'unica ricompensa certa elargita da quella vita a cui ogni essere vivente pareva tanto disperatamente aggrappato.

Ma lui ha solo ventitré anni, sono troppi pochi.

Forse. Elissa ne aveva ventidue, quando morì. Gilbert poco più di quaranta. Mia sorella Tecla, invece, aveva vissuto solo per pochi giorni, addirittura.

Forse non aveva alcuna importanza. Ventidue, ventitré, quaranta, novanta. Il Fuoco Sacro ardeva da oltre duemila anni, promemoria silenzioso della miseria delle nostre ridicole esistente.

Forse, gioventù e vecchiaia erano concetti penosamente umani, patetici tentavi di sopprimere fino all'ultima goccia di quella razionalità che avrebbe svuotato di significato la nostra infima esistenza. Esistenza a cui noi attribuivamo un valore spropositato ma che, in realtà, altro non era che un fugace passaggio di cui, in una manciata di anni, si sarebbe perso il ricordo.

Lì, dove il muro d'acqua si infrangeva sulle rocce, la mescolanza di acqua e sangue, di fragore scrosciante e di urla, aveva assunto una tonalità così intensa da risultare ipnotica. I suoni si erano dilatati e si erano sostituiti ai colori. Le urla di Yumi erano neve. I boati degli incantamenta erano sangue. Il bianco e il rosso stavano urlando. Le loro grida mi stavano implorando di prenderli con me e farne vendetta.

Gli occhi mi bruciavano, frustrati dal vento e dalle lacrime. Avrei preferito privarmi della vista, anziché di lui. Non sarebbe stato meglio, per me, non vedere? Non sentire? Non essere costretta ad ascoltare quelle urla, le grida forsennate di Yumi. Quella voce tanto flebile e infantile che era riuscita a sovrastare la potenza della cascata e a raggiungermi, ghermirmi, e strapparmi dal mio inaccettabile dolore.

«Ania!» gridava Yumi, con la voce strozzata dalle lacrime e dal terrore. «Ania! Ti prego!»

Forse, non era ancora arrivato il mio momento. Forse, avevo ancora un paio di faccende da sbrigare, prima di morire.

La Strige accolse il mio pensiero prima ancora che avessi finito di formularlo, interruppe la mostruosa picchiata in cui si era lanciata e riprese quota.

Non ero più tra i suoi artigli, ero a cavallo sulla sua schiena. Non ero in grado di stabilire come avessi fatto a ribaltare in quel modo la situazione ma sapevo benissimo cosa avrei dovuto fare da quel momento in poi. Non ero mai stata tanto lucida in vita mia. La vendetta pompava nelle mie vene impetuosa come il fiume Aniene, in grado di disintegrare la montagna e di lanciarsi in quel salto di centotrenta metri. Io ero il fiume. Io ero pronta per quel salto.

Raddrizzai la schiena, inspirai a fondo. Lasciai che le grida di Yumi fluissero attraverso le mie orecchie fino alle dita, strette intorno all'impugnatura della frusta. Per la prima volta riuscivo a percepirne il cuoio, l'intreccio tridimensionale delle fibre di cui era composto.

La frusta fu attraversata dall'energia e tremò nelle mia mano; quel tremore vertiginoso retrocesse lungo le dita e risalì dal braccio fino al cervello, già ebbro di sete e di potere. Avevano sperato di essersi sbarazzati di me senza doversi neanche sporcare le mani. Quindi, quando, risalendo la cascata, mi materializzai davanti ai loro occhi a cavallo della Strige con la frusta vibrante in mano, mi presi qualche istante per godere del loro terrore, prima di schioccarla e farli miei.

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