1.35 • LA PIETRA NERA

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«Non possiamo entrare» disse Mario, per la centesima volta.

«Tu resta qui» proposi. «Entro io».

«Te lo puoi scordare che ti mando da sola» rispose. «Non sei neanche sicura che sia il posto giusto».

E invece lo ero. Ero sicurissima.

«Ero ferita a morte, guarda» dissi, voltandomi e mostrandogli i vestiti strappati sulla schiena. «Sono guarita appena sono arrivata qui. Come te lo spieghi?»

«Magari quello che cerchi, quel catalizzatore, è proprio qui nel Foro» concesse, scuotendo la testa. «Anche perché altrimenti Lara non ti avrebbe mandata qui. Ma perché proprio al Lapis Niger

Guardai le lucide lastre di marmo nero che ricoprivano quel sito archeologico, così in contrasto con il resto della pavimentazione in travertino del Foro.

«Tu credi che questo posto si chiami così a causa di questa pavimentazione?» gli chiesi.

«Certo» rispose. «È così».

Era quello che pensavo anche io, fino al giorno prima. Quella sera, però, avevo avuto un'intuizione. Un'illuminazione. E avevo avuto conferma quando Mario mi aveva confessato di essere in possesso del Palladio perché la professoressa gli aveva chiesto di custodirlo al posto suo. Per sicurezza, poiché lei era troppo esposta.

«Mario» dissi. «"Uno per ognuno dei sette". Era scritto sul Libro Sibillino. "Affinché il potere continui ad essere garantito ed equamente ripartito. La condizione è rispettata"».

«Di che stai parlando?» mi domandò.

«Io credo che tu lo sappia. Sono sette. Equamente ripartiti».

Distolse lo sguardo. Aveva capito.

«Non puoi esserne sicura» provò ancora.

«Potrei esserlo» insistetti, «se tu mi aiutassi. Se tu mi dessi conferma».

Conoscevo Mario già da qualche anno, ormai. Sapevo che aveva il cuore tenero. Non mi avrebbe mai negato il suo aiuto.

«Sono i sette Pignora Imperii, giusto?» domandai.

Lui non mi rispose, così continuai.

«Il Palladio alle Vestali. I dodici scudi, gli ancilia, uno per ognuno degli Equites. Il velo di Iliona alla Sibilla. La quadriga di terracotta l'ho vista a Villa Adriana...»

«Ai Feziali» mi interruppe.

«Certo, i Feziali» mi affrettai a confermare, anche se non mi ricordavo chi fossero. «Quindi, dunque, ne mancano...»

«Tre» disse Mario. «Le ceneri di Oreste ai Magi. Lo scettro di Priamo al Pontifex».

«Lo scettro di Priamo ce l'ha la professoressa. Ce lo ha prestato quando...»

«E per fortuna. Pensa se avessero rapito il Pontifex con tutto lo scettro».

«Ok» concessi, perché non volevo perdermi in dettagli futili. «Dunque ne manca solo uno: la pietra nera di Cibele».

Sul mio libro, pagina 341, c'era scritto addirittura che potesse trattarsi di un meteorite.

«La pietra nera di Cibele è stata trasferita a Roma per proteggere la città da...»

«Da Annibale, lo so» dissi. «Ed era stata assegnata ai geni, scommetto».

«È vero, era stata assegnata ai geni. Ma è dispersa».

«Non è dispersa, Mario!» esclamai. «Questo posto si chiama Lapis Niger

«Si chiama così per via della pavimentazione, corna di Bacco!» insistette.

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