3.1 • PARLAMI DI CONSTANTIN

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La camera ardente era stata allestita all'interno dell'atrio ottagonale dell'Accademia.

Gilbert, ripulito e sistemato, indossava una camicia nera dal colletto perfettamente inamidato, un paio di pantaloni neri e una giacca. I suoi capelli erano stati pettinati e lasciati sciolti a incorniciare un volto scavato e troppo pallido.

Quello non era lui.

Gilbert aveva i capelli arruffati, acciuffati malamente in una coda incasinata. Indossava vestiti vecchi, sgualciti e scoloriti. Gilbert, da un momento all'altro, avrebbe varcato la soglia dell'Accademia a lunghe falcate, stretto nel mantello invernale rattoppato. Sarebbe venuto dritto da me, mi avrebbe guardato con aria di rimprovero e rivolto qualche parola sgarbata. Poi, però, avrebbe risolto tutto, indipendente da quanto grande e ingarbugliato fosse il casino in cui mi fossi cacciata.

Perché non c'era situazione che lui non fosse in grado di risolvere e non c'era domanda a cui lui non fosse in grado di rispondere. Che poi quelle risposte me le comunicasse o meno, mi ero resa conto, era di importanza secondaria. La sola consapevolezza che lui le avesse, pur non placando la mia sete di conoscenza, era sufficiente a tranquillizzarmi.

Mia madre fece il suo ingresso in Accademia insieme a Viktor e altri geni, interrompendo il mio flusso di pensieri.

«Melania» mi disse, passandomi accanto «mi dispiace tanto».

Senza attendere una risposta, si avvicinò al mio magister.

«Constantin» sussurrò, allungando una mano verso di lui per poi ritirarla prima di averlo toccato.

Non vuole sentire il freddo della morte.

Non erano mai andati d'accordo ma Gilbert era importante per lei. E io lo avvertivo per la prima volta. Non era pronta a dirgli addio, perché lui era tutto ciò che rimaneva della sua giovinezza, di Elissa, di Enea. In una parola, della sua famiglia.

«Viktor» sussurrai al mio amico, non appena venne a posizionarsi silenziosamente al mio fianco, «Iulian sta bene?»

Kirk mi aveva afferrata al volo un istante prima che il giavellotto mi colpisse. Ma Iulian era rimasto lì.

«Sta bene, non preoccuparti» rispose, passandosi una mano tra i capelli con un gesto stanco.

Il grosso portone dell'Accademia si aprì di nuovo e Viktor e gli altri presenti voltarono la testa in direzione dell'ingresso. Non io. Io non avrei distolto lo sguardo dal corpo di Gilbert a nessun prezzo.

«Non è il momento» sentii, e la voce era di Kirk. «Parlerete con lei più tardi».

Non alzai lo sguardo e non mossi un solo muscolo mentre i suoi passi si facevano sempre più vicini a me.

«Ehi» mi disse, posandomi una mano sulla spalla. «Stai bene?»

Annuii.

«Chi sono quelli?» gli domandò Viktor, indicando con la testa le persone che erano entrare con Kirk.

«Sono dell'Osservatorio sui geni» rispose, a bassa voce, poi si avvicinò per parlarmi nell'orecchio. «Vogliono discutere con te dell'eredità di Gilbert. Visto che sei la sua unica congiunta ti spettano tutti i suoi averi, compresa la sua casa qui. Ti spetta addirittura un posto all'Osservatorio, se mai dovesse interessarti un lavoro del genere».

«Non sono la sua unica congiunta» sibilai. «Lui ha una madre, una sorella e un nipote».

«Che, comunque, sono meno importanti di una discepola attiva con ancora il medaglione addosso al momento del decesso» rispose lui. «Ma, ovviamente, se non vuoi la sua eredità puoi rifiutarla».

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