1.20 • NESSUNA PAROLA D'ORDINE

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Stavo vivendo un'esperienza surreale. Gilbert era nella cucina di casa mia.

«Vado a salutarlo» gracchiai.

«No» rispose mia madre, trattenendomi per un braccio. «Vestiti. E preparati uno zaino con lo stretto indispensabile. Partiamo stanotte stessa».

Capii che Gilbert doveva essere venuto per portarci da loro, dalla Setta. Mi vestii, quindi, in fretta e furia e buttai tre o quattro cose a casaccio nello zaino, poi corsi in cucina.

Gilbert stava in piedi davanti alla finestra, da solo e io, per qualche motivo, mi trovai leggermente in imbarazzo.

«Salve» dissi.

Lui si voltò di scatto e si fermò a guardarmi; sul suo volto si dipinse immediatamente un'espressione dura, di rimprovero. Io, invece, lo scrutai attentamente: mi sembrava dimagrito, più pallido, scavato.

«Si sente bene?» domandai.

«Me la cavo».

Mi misi a fianco a lui e guardai anche io la strada deserta fuori dalla finestra; rimanemmo in silenzio fino a che non entrò mia madre.

«Io non sono affatto d'accordo» disse, lanciando lo zaino per terra e incrociando le braccia davanti a Gilbert.

«Riguardo cosa?» chiesi, guardando prima lei, poi Gilbert.

«Non vi è permesso vedere il punto di accesso. Mi dispiace. Solo i membri della Setta sanno accedervi».

«Quindi tu sei un membro della Setta, Gilbert?» sibilò mia madre.

«Sai bene che non è così» rispose lui.

Sai bene? Cos'era quella confidenza tra loro? Il suono del campanello interruppe la soave conversazione.

«Chi è?» domandai.

«Sono due Perturbatori di Anime della Setta. È stato deciso, di comune accordo, di stordirvi con una maledizione autolimitante in modo che non possiate ricordare il tragitto che avete percorso. Ognuno di voi sarà accompagnato da un genio e vi riprenderete appena arrivati».

«Bene» disse mia madre. «Io vengo con te».

Notavo, nel suo atteggiamento, un certo desiderio di tenermi il più possibile lontana da lui.

«Lo sai che questo non è possibile, Arianna. Melania è la mia discepola. Viene lei con me».

Mia madre lo incenerì con un'occhiata, poi chiamò Daniel e ci dirigemmo tutti verso l'uscita. Non che mi facesse piacere vedere mia madre così in difficoltà, ovviamente. Però mi sembrava che, in fondo, un po' se lo fosse meritato.

Non feci neanche in tempo a sentirmi in colpa per il pensiero meschino che, di botto, realizzai quello che Gilbert aveva detto: una maledizione di stordimento. Non avremmo ricordato nulla. Cominciai a sentire freddo. No, non di nuovo. Non avrei dato a nessuno il permesso di smanettare ancora con la mia memoria. Fissavo il pavimento, ma vidi con la coda dell'occhio Gilbert che guardava dalla mia parte e si fermava.

«Ma insomma, non venite?» ci chiamò mia madre dal pianerottolo del piano di sotto.

«Che è successo?» domandò Gilbert.

Avevo accettato di proteggere Daniel ad ogni condizione, e avrei fatto davvero qualsiasi cosa per lui. Ma questo, proprio questo... no. Questo non lo avrei accettato.

«Melania?»

«Non voglio essere stordita» dissi. «Visto quello che mi è successo voglio avere il controllo sulla mia memoria e sulla mia mente, d'ora in poi».

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