1.40 • VIVERE INSIEME O MORIRE DA SOLI

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Arrivai a pensare che quell'informazione le fosse sfuggita, per errore, in un momento di confusione mentale. Perché, nonostante le avessi posto la stessa domanda a ripetizione per due giorni interi, mia madre non si era più lasciata sfuggire mezza parola in proposito.

«Ah, Melania. Finalmente» mi disse quando, trafelata, raggiunsi l'ingresso della domus di Manlio Vopisco. «Dobbiamo affrettarci».

«Yumi e Kumiko?» domandai.

«Sono andate avanti» mi rispose la Di Pietro. «Coraggio, andiamo».

Il sentiero era stato ripulito dalla neve ma il buio e il gelo rendevano la scarpinata fino all'acropoli una pericolosissima trappola mortale.

«Sei riuscita a estorcerle qualche altra informazione su tuo padre e Gilbert?» mi chiese Devon, stringendosi la toga nera tra le mani.

Ognuno di noi aveva dovuto indossarne una.

«No. È muta come una tomba».

«E le hai detto quello che hai visto? Di Nerissa con i Reazionari, intendo»

«Sì, certo. L'ho detto a lei e anche alla professoressa. Ma pare che nessuno mi abbia dato retta».

«E della visione che hai avuto di Immanuel Vanhanen durante l'attacco dei lemuri

«No, quello non l'ho raccontato a nessun altro» sussurrai. «Non sono neanche sicura che fosse davvero lui. E, comunque, non ho visto praticamente niente».

«Fate silenzio, ragazzi» ci redarguì la signora Petrocchi, che camminava davanti a noi insieme a mia madre, mio fratello e la professoressa Di Pietro.

Ubbidimmo. Non eravamo i soli a precorrere il sentiero, quel giorno. Anzi. Sembrava che tutti i Superbi, nessuno escluso, si fossero messi in fila per raggiungere l'acropoli, formando quell'enorme serpentone che si snodava lungo tutta la mulattiera.

Il cancello era aperto e l'acropoli affollata come mai avrei pensato di vederla.

«Andiamo, coraggio» mi disse mia madre, acchiappandomi per il braccio.

Sgomitando tra la folla, riuscimmo a raggiungere il tetro tempio della Sibilla ed entrammo. Il vociare della moltitudine di persone che affollava il piazzale rimase fuori dal portone, lasciandoci in un silenzio carico di angoscia, rotto solo dal rumore dei nostri passi.

«Copriti la testa» mi ordinò mia madre.

Yumi e Kumiko erano già lì. Sedute sulla prima di una lunga serie di file di panche di legno.

Percorrendo quella che sembrava la navata di una chiesa, ebbi modo di guardarmi intorno. Non conoscevo nessuna di quelle persone. Eppure, pensai, dovevano essere tutti i familiari stretti degli altri Equites. I gemelli Vanhanen, però, non c'erano. Prendemmo posto accanto a Kumiko e Yumi che sedevano immobili e in silenzio come due statue, avvolte nelle loro toghe nere.

Loro, gli Equites, erano tutti in piedi intorno all'altare. C'era anche lui. Rei era così giovane, rispetto a tutti gli altri. Così triste. Così solo.

Una musica malinconica, un canto funebre, una melodia carica di disperazione si diffondeva nell'ambiente.

Un uomo anziano, vestito con una semplice toga bianca ornata in argento, si avvicinò al corpo di Kento e tutti gli Equites si fecero indietro.

«Chi è?» sussurrai a mia madre.

«Il Pontifex» rispose.

Dovetti nascondere lo sgomento. Quello era il Pontifex? Quel vecchiolino rinsecchito con il viso rugoso e i capelli tagliati male?

SPQTWhere stories live. Discover now