2.15 • L'IMPORTANTE È CHE TI PIACCIO ANCORA

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«L'importante è che ti piaccio ancora» disse Yumi.

Era tutto il giorno che lo ripeteva e nel frattempo scuoteva la testa, incredula.

«Ma come fai a essere così... sottona?»

«Non sono sottona» protestai. «Mi fido di lui e del suo giudizio».

«Ho capito e sono d'accordo che il suo giudizio sia più affidabile del tuo» rispose. «Ma non puoi comunque lasciare che un ragazzo ti tratti così».

«Guarda che stai parlando di Rei, non di una persona come le altre» ribattei, offesa.

«Ania» tagliò corto lei, «lui è una persona come tutte le altre. Sei tu che hai questa visione idealizzata. È un bravo ragazzo, per carità. Ma è pieno di difetti e di contraddizioni proprio come lo siamo io e te».

«Difetti?» chiesi, sconvolta. «Dai, dimmene uno».

«Mi prendi in giro?» domandò lei. «Non so, ti sei accorta di quanto sia incapace di comunicare?»

«Non è incapace di comunicare» dissi. «Ci sono delle cose che non può ancora dirmi».

«Questa è una scusa» mi contraddisse. «Ci sono cose che non ti direbbe comunque, semplicemente perché non saprebbe come farlo».

Decisi di non risponderle più e mi concentrai sul paesaggio che avevo intorno. Bianco, soffice e accogliente.

«Hai ancora paura dell'aereo?» mi domandò la Di Pietro.

«Abbastanza» risposi. «Troppe persone chiuse in uno spazio troppo piccolo e senza alcuna via di fuga».

«Una situazione rischiosa, per te» convenne la professoressa.

«Menomale che non siamo su un aereo, quindi» concluse Yumi.

Qualche giorno prima della nostra partenza, la Di Pietro era venuta a domandarci con quale mezzo di trasposto avremmo preferito raggiungere la Romania. Infatti, sorprendentemente, c'erano varie possibilità. Potevamo farlo in aereo, in treno e persino in macchina. Per me, onestamente, non faceva nessuna differenza. Escludendo l'aereo, che non avrei preso neanche morta.

Ionascu ci aveva richiamate in classe prima che la professoressa avesse potuto aggiungere altro.

«Sai che il paese in cui andrete per il matrimonio è vicino a quello di origine di Gilbert?» mi aveva detto Viktor, a bassa voce.

Ovviamente non lo sapevo. Mi sarebbe piaciuto molto vederlo.

Sarebbe potuto essere un aiuto per conoscerlo e capirlo più a fondo. C'erano ancora tante, troppe cose che non sapevo di lui. Non ero riuscita a scoprire niente sul suo scontro con mio padre, per dirne una. Nè ero riuscita a farmi un'idea sul motivo per cui possedesse poteri da Velatore, pur essendo un Incendiario. O meglio, un'idea, forse, ce l'avevo pure. Ma non era cosa su cui avessi voglia di soffermarmi. Anzi. Mi sforzavo continuamente di reprimere quel pensiero molesto.

Avevo pensato a lungo a quanto sarebbe stato bello conoscere il suo paese d'origine e, chissà, magari la sua famiglia e i suoi amici. Ammesso che ne avesse ancora visto che, come mi aveva raccontato mia madre, era stato rastrellato all'età di dieci anni.

Sì, ci avevo pensato a lungo. Tanto a lungo da dimenticarmi di domandare alla Di Pietro su quale mezzo di trasporto si fosse orientata, alla fine. Eppure, tutto mi sarei aspettata meno che la possibilità di raggiungere la Romania usando un tempio.

Con il permesso del Pontifex eravamo passate, banalmente, dal tempio di Vesta di Tivoli. La Di Pietro aveva detto al traghettatore il nome di una località incomprensibile, e, in men che non si dica, eravamo uscite in un tempio all'interno di una città imperiale quieta e innevata, poco prima che il sole tramontasse.

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