1.34 • LO SBRACATO

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«Devi scendere» mi disse il traghettatore. «E devi pagarmi la traversata».

Gli avevo chiesto di condurmi al tempio del Foro perché speravo di trovare, nel sottosuolo cavernoso, le Furie pronte ad aiutarmi. Invece, oltre me e quel vecchio rinsecchito, non c'era nessuno.

«Dove sono le Furie?» rantolai.

«Saranno uscite a fare danni, come tutte le altre Creature degli Inferi» rispose. «Devi scendere. E devi pagarmi».

Maledetto scheletro.

«Ma lo vedi che non ce la faccio?» domandai, sperando di impietosirlo.

«Sì, lo vedo» rispose. «Ma devi scendere lo stesso».

Mi alzai e scesi a fatica dal barchino, solo per ritrovarmi accasciata per terra, sulla roccia bagnata e gelida della caverna, in preda a un bruciore pulsante.

«Non riesco a stare in piedi» dissi.

«Non posso aiutarti» mi rispose lui. «Sopratutto se non mi paghi».

«Non ho soldi» ammisi.

Scuotendo la testa disgustato, puntò un remo sulla riva e con esso si diede la spinta per muovere il barchino.

«Addio» disse.

Sarei morta lì. Nessuno sarebbe venuto ad aiutarmi. Mi sdraiai sulla pancia e lasciai che il freddo, oltrepassando i vestiti, raggiungesse la pelle e si irradiasse per tutto il corpo, sperando che almeno placasse quella sensazione di bollore che mi attanagliava.

Chiusi gli occhi, assolutamente certa che non li avrei riaperti mai più.

Chiusi gli occhi, assolutamente certa che non li avrei riaperti mai più

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Invece, dopo chissà quanto, tornai cosciente. Il dolore era quasi del tutto passato. O meglio, il mio corpo pareva anestetizzato. Non sentivo più la schiena e, quando provai a muovermi, mi accorsi di aver perso la sensibilità anche delle gambe.

Non mi sembrava proprio che fosse un buon segno. Avevo una vaga speranza che Gilbert o Daniel avessero ascoltato la mia richiesta di aiuto grazie alla proverbiale telepatia dei geni ma, se anche fossero riusciti a trovarmi, non avrebbero fatto in tempo.

Quella sensazione di intorpidimento lasciò il posto a un formicolio doloroso. Che strano. Mi ricordava quella spiacevole sensazione di risveglio di un arto addormentato. E quindi, proprio come facevo quando mi si addormentava una gamba, rimasi immobile per tutta la durata del processo, consapevole che anche il minimo spostamento mi avrebbe provocato un dolore lancinante.

Poi, improvvisamente, cominciai gradualmente a riacquisire sensibilità prima alle gambe e poi anche alla schiena. Il dolore era svanito. Provai ad alzarmi in piedi e ci riuscii al primo colpo. Mossi qualche passo e mi accorsi di essere inaspettatamente stabile sulle gambe.

I vestiti gelidi e bagnati mi si erano appiccicati addosso e ne accusavo l'insopportabile fastidio mentre percorrevo prima la galleria e poi il lungo corridoio che mi avrebbe condotto al tempio di Vesta del Foro.

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