2.23 • TORMENTO E VENDETTA

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Mi svegliai, con un mal di testa feroce, cercando di capire dove mi trovassi.

«Buongiorno» sentii tuonare.

Quella sola parola, pronunciata da Gilbert, suonava più come un rimbrotto astioso che non come un augurio standardizzato a passare una buona giornata. Ero nella sua stanza, sul suo letto. Avvolta nella sua coperta. Sì, giusto. Ero scesa nel sotterraneo della Setta per parlare con Kirk. Gilbert era venuto a prendermi e io avevo...

No. Avevo...

«Bevi un po' d'acqua» mi disse Gilbert.

«Ha dormito sulla sedia?» domandai, prendendo il bicchiere.

«Io non dormo mai» rispose, allontanandosi. «E men che meno in presenza di altri geni».

Bevvi l'acqua poi, sperando che lui stesse guardando da un'altra parte, nascosi la testa sotto la coperta. Ero nuda. Avevo fatto a Gilbert una proposta senza ritorno. Ero stata...

«Sei un'incosciente» disse lui e sbirciai con un solo occhio fuori dal mio bozzolo. «Ma sono costretto a ringraziarti per il pensiero».

Non mi stava guardando; si era chinato sulla sua scrivania ingombra.

«È la seconda volta che mi ringrazia per il pensiero» dissi. «Prima o poi mi piacerebbe fare qualcosa di concreto per aiutarla, anziché pensarci e basta».

«Il pensiero è una cosa concreta» disse, e si tirò su. «Ora però devi vestirti. Dobbiamo tornare a casa».

«Va bene» concessi, sentendo le tempie pulsare. «Ma non voglio indossare i vestiti di...»

«Ho capito» mi interruppe, spazientito, avvicinandosi alla porta. «Te ne ho preparati alcuni dei miei».

«Va bene, grazie» ripetei. Poi, senza tirare fuori la testa dal mio sarcofago domandai: «Ma insomma lei e la Clement state insieme?»

Lui si fermò con la mano sulla maniglia.

«Non che tu abbia alcun diritto di pormi una domanda del genere» precisò. «Comunque no. Ho già troppo da fare con te. Non ho tempo per un'altra donna».

«Ah, bene» dissi.

«Poi, un giorno, mi dirai perché la odi così tanto».

«Ma sul serio non lo ha capito?» chiesi, poi decisi che valeva la pena cogliere l'occasione per troncare il discorso. «Comunque, va bene, lasci stare. La odio già molto meno, ora».

Con indosso i vestiti di Gilbert ero talmente brutta e ridicola da valutare, per un momento, la possibilità di strozzarmi col mio stesso rancore e accettare quelli della Clement

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Con indosso i vestiti di Gilbert ero talmente brutta e ridicola da valutare, per un momento, la possibilità di strozzarmi col mio stesso rancore e accettare quelli della Clement.

«Sei pronta?» mi chiese Gilbert, bussando alla porta con veemenza. «Dobbiamo sbrigarci».

Mi diedi un'ultima occhiata e lo specchio mi restituì un'immagine atroce. Mi ero acciuffata i capelli come meglio ero riuscita, cioè molto male, e il mio occhio sembrava ancora più nero e tumefatto, sulla pelle così pallida e smunta. Mi arrotolai le maniche del maglione nero di lana infeltrita che, da solo, mi arrivava fino alle ginocchia. Sarebbe stato sufficiente. Mi liberai dei pantaloni improponibili e li riposi nell'armadio, poi mi infilai le mie All Star invernali ancora un po' umide e aprii la porta.

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