2.2 • BLACKOUT

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Forse non era stata una buona idea, in fondo.

Il giardino del castello di Roberta Rispoli era affollato come un vespaio, o un formicaio, o un qualunque altro disgustoso luogo ghermito di insetti. Perché era quello che sembravano tutte quelle persone: insetti. Insetti intenti a fare avanti e indietro tra la piscina e l'open bar, seguendo traiettorie sconclusionate e scontrandosi uno con l'altro.

Erano passate le nove di sera ed era già buio da un pezzo ma l'aria era ancora calda e immobile e il respiro e la traspirazione cutanea di tutta quella gente la rendeva ancora più afosa e malsana. La musica era talmente alta da sovrastare e neutralizzare qualunque parola tentassi di dire a Gaia, mentre arrancavo insieme a lei, in mezzo alla folla di esseri umani seminudi, alla ricerca delle nostre amiche.

Non mi piaceva tutta quella vicinanza e men che meno il contatto pelle a pelle. Tutti si stavano divertendo e nessuno sembrava volersi vendicare di qualcun altro, ma un assembramento di quel calibro mi poneva in automatico in una condizione di disagio.

Avevo bisogno di un certo spazio personale per sentirmi tranquilla.

Non che mi aspettassi una festicciola per pochi intimi, certo. Ma neanche avrei mai potuto pensare che avesse invitato tutta la scuola. Inoltre, in mezzo a quella disordinata e assordante confusione, il mio proposito di sfruttare l'evento per salutare i miei compagni di classe sembrava poter andare a farsi benedire.

«Ah, eccole!» esclamò Gaia, sgomitando tra la folla con il bicchiere sopra la testa.

«Che confusione, mamma mia» disse Sara, raggiungendoci a fatica.

«Facevamo bene a starcene a casa» aggiunse Edera, urlando sopra la cassa battente.

Però non ci eravamo state. Quindi, già che eravamo lì, avremmo almeno potuto farci il bagno. Riuscimmo a guadagnare un posticino a bordo piscina e iniziammo a spogliarci. Mi sfilai la maglietta poi mi sbottonai gli shorts e mi immobilizzai. Il pezzo di sotto del mio bikini a pois era veramente molto stretto. Mi calzava come una brasiliana, pur non essendolo. Forse avrei potuto tenere i calzoncini ed evitare di farmi il bagno. Non avevo proprio voglia di far vedere il sedere a tutta quella gente.

Passai in rassegna tutte le mie amiche e mi accorsi che anche Corinna si vergognava di spogliarsi. Indossava un vestito lungo fino alle caviglie di lino beige che le stava benissimo e non pareva avere la minima intenzione di toglierselo. Di cosa si vergognasse non lo sapevo e non riuscivo proprio a immaginarlo. Era alta e molto più magra di me. Se avessi avuto io il suo corpo...

«Bertini fa la timida?» sentii alle mie spalle.

Ci voltammo di scatto e capimmo subito cosa stesse per succedere. Corinna cercò di scappare ma, in una manciata di secondi, due ragazzi di un'altra classe le furono addosso. Sara e Edera, che erano più vicine, cercarono di toglierglieli di torno. Senza successo. Uno la prese da sotto le ascelle, uno per le caviglie e, in men che non si dica, l'avevano già buttata in piscina vestita.

«Stronzi!» urlò loro Edera.

Il loro sguardo cadde su di me.

«Ah, ma anche Mei...»

«No» li interruppi, liberandomi sbrigativamente degli shorts. «Anche Mei niente».

Non avrei mai consentito a due cretini del genere di avvicinarsi tanto, addirittura di toccarmi. Se mi avessero acchiappata in quel modo avrei rischiato di... no, non avrei permesso che accadesse.

Corinna, che nel frattempo era uscita dalla piscina issandosi sulle braccia muscolose, mi affiancò affranta e grondante e quelli si allontanarono ridendo.

SPQTWhere stories live. Discover now