2.30 • DI DISPERAZIONE E DI SETE

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La notte in cui avevo scoperto di Enea e del nostro rapporto di parentela, sia mia madre che Rei mi avevano intimato di non rivelare a nessuno quell'informazione, e io avevo ubbidito. Tuttavia, mi ci erano voluti alcuni anni per rendermi conto appieno del perché fosse così importante mantenere il segreto.

Enea, il fratello di mia madre che, nel frattempo, aveva preso il nome di Alastor, era diventato il genio più ricercato della storia. Disponeva di un esercito mai visto prima con il quale aveva sferrato innumerevoli attacchi ai danni dell'Impero. E sarebbe riuscito ad annientarlo, se i Reazionari non avessero schierato i loro eserciti al fianco di quelli di Tibur.

Ma Enea era stanco. Anche se l'avevo incontrato una sola volta, durante i sette anni successivi avevo continuato ad avvertire quasi costantemente il suo stato d'animo. L'esercito che aveva radunato, composto principalmente da Creature degli Inferi, stava andando fuori controllo. Si erano verificate molte aggressioni ai danni dei mortali che lui, di sicuro, non aveva preventivato.

Alcune volte, soprattutto di notte, quando mi mettevo a letto nella mia stanza avvolta nel silenzio, avvertivo la sua prostrazione. Ma nessuno, oltre me, poteva sapere. Alastor era diventato il nemico da fermare. Per fortuna, però, ucciderlo pareva quasi impossibile, tanto che chiunque avesse provato a fronteggiarlo in battaglia era stato brutalmente ucciso.

E più Umani uccideva più gli Umani lo odiavano e desideravano la sua morte e più lui diventava forte. Sette anni dopo quella notte, quando io ne avevo dodici, Alastor era ormai diventato imbattibile. L'Impero, invece, era allo stremo delle forze. I Magi, che da sette anni annebbiavano i mortali per far sì che non si accorgessero delle tenebre in cui era piombata l'umanità dopo lo spegnimento del Fuoco, erano prosciugati.

Il giorno in cui Alastor sferrò il suo attacco finale, aveva la vittoria in pugno. E io, che avvertivo il suo stato d'animo, mi trovavo in uno stato di agitazione incontenibile, tanto da non riuscire a stare ferma. Volevo andare da lui. Dovevo andare da lui. Perché, ne ero assolutamente certa, c'era una parte di Enea, sepolta da qualche parte nella coscienza schiacciata dal troppo potere di Alastor, che voleva essere fermato. Che desiderava qualcuno che gli dicesse che, nonostante tutto, c'era ancora una via d'uscita. Che, forse, una risoluzione pacifica era ancora possibile.

E quindi, dopo essere saltata alla cieca nella vasca mezza ghiacciata del Pecile, fidandomi solo del ricordo confuso che avevo della conversazione a cui avevo assistito quando avevo cinque anni, ero arrivata alla Grotta delle Sirene, in una Villa Gregoriana in piena guerra, stracolma di Venatores, Magi e soldati. Quindi, mio malgrado, avevo dovuto rinunciare all'idea di raggiungere l'acropoli ed ero stata costretta a rifugiarmi dove a nessuno sarebbe mai venuto in mente di andare a cercarmi.

La Grotta di Nettuno.

L'insenatura naturale più inospitale di tutta la villa. Per raggiungerla era necessario oltrepassare due inquietanti statue che, pur non essendo lari, sembravano essere state messe lì appositamente per scacciare i visitatori molesti, e poi arrampicarsi su ripidissimi scalini di roccia liscia. Durante l'ascesa, il crollo repentino della temperatura mozzava il respiro.

Il fiume fuoriusciva impetuoso dalla montagna e abbandonava la grotta saltando giù nella valle con un rumore fragoroso, inseguito da una corrente d'aria ghiacciata.

Avevo poggiato la schiena alla parete gelida e iniziato a piangere. Era stata un'idea stupida. Non sarei mai riuscita a raggiungere Alastor. Non sarei mai riuscita neanche a uscire viva da quella situazione, probabilmente. Perché, purtroppo, percepivo che qualcuno si stesse avvicinando. Non avrei mai potuto udirne i passi o le voci, visto lo scrosciante frastuono del fiume, ma percepivo altro.

Percepivo la loro sete.

Mi ero rannicchiata contro la roccia sperando di scomparire quando lui, con un tonfo sordo, era improvvisamente comparso davanti ai miei occhi.

SPQTWhere stories live. Discover now