1.23 • LA SETTA

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Il giorno seguente mia madre decise di dedicarsi alle pulizie. Probabilmente aveva bisogno di non pensare. A Kento e al fatto che i suoi figli stessero vivendo in mezzo alla sporcizia. Naturalmente ci obbligò ad aiutarla.

«Vorrei parlare con te, mamma» le dissi, approfittando di un momento di riposo.

Mia madre sbuffò.

«Non ricominciare con la storia della memoria, ti prego» disse, alzandosi dalla panca della cucina su cui si era lasciata cadere poco prima.

Non era quello di cui volevo parlare. Ma fui quasi tentata di farlo, vista la sua reazione.

«Non ricomincio. Vorrei parlare d'altro. Sempre se non ti dispiace».

Mia madre tornò a sedersi a cavalcioni sulla panca. Era veramente molto magra. La canottiera che aveva indossato per rassettare la casa le stava troppo larga e lasciava scoperte due spalle eccessivamente ossute. Del suo seno, già non particolarmente prosperoso, non era rimasto quasi più niente.

«Dimmi» disse, svogliata.

«Qui le persone sono molto diverse da come mi immaginavo. Tu puoi spiegarmi cos'è realmente la Setta?»

Mia madre annuì lentamente con la testa, prima di parlare.

«Alcuni anni fa, Melania, in questi sotterranei viveva un genio. Era il genio più potente che si fosse mai incontrato. Si faceva chiamare Alastor, come il dio greco della vendetta».

«Sì, lo so che era un Vendicatore. Yumi e Rei mi hanno raccontato qualcosa».

«Quindi cos'è che sai?»

«So che questo genio è andato fuori controllo e ha fondato la Setta. Ha raccolto sotto il suo comando altri geni e varie altre Creature, per prendere il comando. Perché pensava che i geni fossero i legittimi discendenti degli dei e che il comando quindi spettasse loro di diritto».

«Sai molte più cose di quanto pensassi» disse lei. «Cosa vuoi sapere, quindi?»

«Questa gente che vive qui... non mi sembrano combattenti... non sembrano... cioè...»

«Beh, non lo sono. Sono geni come me e te. Che però condividono le stesse idee di Alastor» disse.

«Ma...» chiesi, titubante. «Alastor, lui... è morto?»

Mia madre non rispose subito. Sembrava quasi che quella domanda le avesse provocato un dolore.

«Sì» disse, guardandomi. «Ma le sue idee non sono morte con lui».

«Sono, quindi, idee che condividono davvero in molti. E anche Gilbert?» chiesi.

«Credo, Melania, che molti dei geni che hai visto si siano rifugiati qui cercando protezione, proprio come noi. Per quanto riguarda Gilbert, la faccenda è un po' più complicata. Sei al corrente dell'incarico che svolge a Tibur

Ci pensai un po' su, poi mi portai una mano alla fronte. Non lo sapevo. Non sapevo che lavoro faceva, non sapevo niente di lui. Non sapevo neanche il suo nome di battesimo.

«È un mediatore. La Setta ha rispetto di lui, perché è un genio purosangue con due numina e perché è incredibilmente potente. Comunque, lo stato di quieto vivere degli ultimi anni lo dobbiamo esclusivamente a lui».

Rimasi in silenzio a riflettere.

«Guarda che me ne sono accorta» disse mia madre, dopo un po'. «Che non porti più il medaglione, intendo. È successo qualcosa?»

Non seppi cosa rispondere senza smuovere un nuovo polverone, quindi esitai qualche attimo. Poi decisi di dire la verità.

«Credevo che Gilbert pensasse che ho perso la memoria, come tutti gli altri. Invece ho scoperto che anche lui sa quello che mi è stato fatto. Gli ho chiesto spiegazioni ma lui me le ha negate».

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