Capitolo 49

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«Dipendeva da lui,

ci si era attaccata con l'ostinazione

con cui ci si attacca alle cose che fanno male».

Fabrizio Caramagna

***


Sei anni prima


Lo stridio della chiave, che girava nella toppa del vecchio portoncino color mogano, la ridestò.

Ormai da ore era ricurva sulla scricchiolante scrivania che l'aveva accompagnata nei lunghi anni di studio, con un gomito piegato su di essa, la testa posata sulla mano sinistra, mentre nell'altra teneva una matita dalla mina sottile, con la quale sottolineava i punti salienti del suo mastodontico volume di linguistica educativa applicata.

Stanca e con gli occhi che iniziavano a pizzicarle, lasciò andare la matita, si stiracchiò, allungando le braccia e le gambe, che fino a quel momento erano incrociate sulla sedia, tanto logora dall'uso da avere la seduta sformata, poi si guardò intorno e sbuffò.

Nella camera regnava il solito caos: libri, appunti, post-it colorati ed evidenziatori erano sparsi sul letto e sul pavimento; un jeans scuro, appallottolato insieme a una camicetta lilla, giaceva sullo sgabello di legno; le ante del modesto armadio rivestito di bianco erano spalancate; la bretella di un reggiseno rosa pendeva dal cassetto semi-aperto del comodino; le sue sneakers nere, ormai usurate, sostavano abbandonate accanto alla porta di frassino chiaro, che si aprì mostrandole il volto accigliato del suo fidanzato.

«Maledizione, Vivian! Qua dentro c'è puzza di muffa» sbraitò il giovane uomo precipitandosi a spalancare la piccola finestra di legno tarlato.

«Lo dici tutte le volte» rispose lei scocciata prima di sollevare gli occhi al cielo.

«Forse perché è la verità. Questo posto è un tugurio!» ribatté lui con sdegno.

«Dio, sembri mia madre».

«Se avessi ereditato almeno un po' del suo buon senso, non ti ostineresti a vivere in questo schifo!»

«Oh, no! Ti prego, Andre. Sono sfinita, non ho nessuna intenzione di iniziare nuovamente questa discussione. – replicò lei afferrando la tazza rossa a pois gialli e dirigendosi verso il cucinotto – Piuttosto, perché sei agghindato a festa?» gli chiese poi squadrandolo da cima a fondo.

Andrea, stretto in un abito d'alta sartoria in tela di lino color antracite, con tanto di gilet, al quale era abbinata una cravatta di seta e una camicia avorio, con i gemelli d'oro bianco in bella vista sui polsini, divenne paonazzo e poco dopo esplose.

«Lo sapevo! Te ne sei dimenticata! Cazzo, Vivian, sono settimane che ti parlo di questa cena!»

«Oh! – fece lei ricordandosene all'istante – Era oggi?»

«È oggi! – puntualizzò Andrea – Ci aspettano per le ventuno al ristorante del Palace».

«Andre, sono a pezzi. È da giorni che studio per il concorso e domattina sono di turno in libreria».

«Piccola, se l'incontro con Castelli andrà bene, ti assicuro che non dovrai né sbatterti per quel concorso da poveracci, né continuare a sgobbare in quel negozietto delle pulci».

«Quanto mi fai saltare i nervi quando fai così! A me piace lavorare in libreria e voglio continuare a insegnare, tu e mia madre dovreste ficcarvelo in testa una buona volta».

Vivian - La forza di ricominciareWhere stories live. Discover now