Capitolo 120- Hai Fatto?

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Io e Lennox non facciamo a tempo a mettere piede nel posto in cui veniamo gettati dal lungo corridoio che, in un battito di ciglia, il terreno sotto i nostri piedi ci fa scivolare

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Io e Lennox non facciamo a tempo a mettere piede nel posto in cui veniamo gettati dal lungo corridoio che, in un battito di ciglia, il terreno sotto i nostri piedi ci fa scivolare. Era così inclinato da non permettere un arrivo tranquillo.

Ci ritroviamo entrambi a cadere, rotolando per quella che sembra un eternità. La discesa pare a dir poco infinita e tutto gira al punto tale che è impossibile capire se sia seriamente così o no.

Veniamo sballottati giù, giù e anche più giù.

Mi pento dallo sperare che smetta una volta per tutte, però. Ruotare su me stesso come una trottola é stato sempre meglio di quando letteralmente ci stacchiamo dal terreno, ritrovandoci a crollare nel vuoto per diversi secondi. Un urlo strozzato mi guizza fuori dalle labbra, più acuto di come vorrei fosse possibile.

Una fortuna la abbiamo: Prima di atterrare non ci vuole più di tanto. Un paio di secondi di caduta libera, ma nulla di più.

Ma proprio come abbiamo la fortuna, abbiamo anche la sfortuna: Appena mi ritrovo sul suolo, finisco con lo sbattere la testa. Non so se a Lennox capiti la stessa cosa, ma lo sento comunque emettere un urlo a sua volta.

Una fitta di dolore esplode ad altezza tempie all'atterraggio. La mia visuale lampeggia come una lampadina scarica —accendi, spegni. Accendi, spegni. Ripeti— prima che, con il mondo che sembra ancora ruotare attorno a me —tutto gira, tutto è sfocato e decisamente poco chiaro, tutto fa solo aumentare il dolore che già provo perché oltre ad esso mi fa venire un insana voglia di vomitare tutti i contenuti del mio stomaco, riversandoli al suolo— finisco con il perdere i sensi.

E così tutto diventa buio. Il mio respirare affannato è l'ultima cosa che percepisco oltre alla vera e propria tortura che mi colpisce la fronte.

***

Gli occhi grandi e verdi —quasi da cerbiatto— di mia sorella mi fissavano con un che di insistente. Con dell'aspettativa che non mi aspettavo affatto di trovare nel mentre che rientravo in casa.

Quelli di mia madre e di mio padre facevano la stessa cosa, ma con una palese delusione. Con forte, annoiata seccatura pura che appariva nel loro sguardo, andando a stringermi lo stomaco al punto tale da sentire come se stesse bruciando.

-Allora?- chiese Iris con tono quasi impaziente, battendo il piede a terra come se stesse tenendo il ritmo. E poi iniziando a saltellare come una di quelle lepri che vedevamo passare di striscio prima che papà prendesse bene la mira e li colpisse nell'occhio con il fucile. Il pensiero mi infastidiva abbastanza.

-Hai fatto?- insistette lei.

Mi ritrovai a guardarla negli occhi di rimando in silenzio totale, cercando di non sembrare troppo confuso.

Iris ruotò gli occhi, ma l'espressione eccitata non sparì. Il suo sorriso parve aprirsi anche di più di quanto non lo fosse stato in precedenza. -Oh, dai, Liv! Non fare il finto tonto, lo sai che intendo! Non tenermi sulle spine! Dai, dai, dai!-

Cercai di sorridere di rimando. Sentii come questo tentativo di gesto non fece altro che farmi male a tutte le guance, tirandole e dimostrandosi estremamente forzato.

Dallo sbuffo esebito da mia madre, esso dovette uscirmi di più come una smorfia che come qualcosa di davvero allegro e credibile.

-È andato... nella norma... Non male, non bene.- dissi, volutamente vago. Non avevo davvero la più pallida idea di cosa la mia sorellina intendesse e non potevo non sperare che lei lasciasse perdere.

E mi sentivo come se stessi venendo forato vivo dagli occhi dei miei.

Odiavo il modo in cui loro mi fissavano, in quel momento. Il mio entrare in salotto ad interagire con mia sorella, con loro che mi scrutavano come se fossi nel bel mezzo di una prova, come se aspettassero la prima ragione per criticarmi... Mi faceva venire la voglia enorme di scappare via di corsa.

-Non potresti dirmi di più?- pregò lei. E se prima i suoi occhi erano stati già come quelli di un cerbiatto, in quel momento erano diventati come quelli di un personaggio della Disney. Il suo labbro inferiore era in bella vista e le sue manine —ben curate, con un profumo di crema alle rose e con lo smalto per le unghie brillantinato— mi afferravano con determinazione il braccio.

-Come è lei? È carina? Ti piace? Le piaci? Ti ha chiesto di tornare a uscire insieme? Magari la puoi invitare a casa! Le piace il the?...-

Ah... Era quello allora.

Lo avevo completamente rimosso. Cosa abbastanza stupida da fare, probabilmente, ma lo avevo sul serio totalmente scordato.

Stava dando importanza al teorico appuntamento che avrei dovuto avere con Annemarie, una delle figlie di una vecchia amica di mia madre. Avrei dovuto avere e in un certo senso lo avevo avuto, sì, ma non era stato un vero e proprio appuntamento per nessuno di noi due.

Ci eravamo incontrati.

Le avevo dato le rose che mamma mi aveva obbligato a portare.

Lei mi aveva detto che non era interessata e che aveva accettato di incontrarmi per fare sua madre contenta. Avevo risposto dicendo più o meno la stessa cosa, sollevato dal fatto che eravamo sulla stessa lunghezza d'onda.

Poi ce n'eravamo andati tutti e due per la nostra strada dopo meno di venti minuti, lei per svignarsela e raggiungere quello che le piaceva sul serio —se non ricordavo male aveva detto che si chiamava Lucas?— io per prepararmi per le altre prove di teatro.

Prepararmi senza poter entrare, però, dovendo nascondermi nel piccolo spiazzo di terra che insorgeva dietro lo  sgabuzzino, di tanto in tanto sbirciando nelle vetrate —non troppo lontane da lì— da cui si poteva intravedere il palco, seppur veramente a malapena.

E poi, dopo le prove, dopo il mio allenamento silenzioso —ripetendo mentalmente sia le battute delle scene in cui ero presente, sia eseguendo i movimenti di altri personaggi— ero andato a pulire le stalle e a cavallo nella foresta, perdendo la cognizione del tempo.

-Non penso che sia interessata a me in quel modo.- dissi, faticando a lasciar perdere l'assottigliarsi dello sguardo di mamma, mentre quello di mio padre sembrava dire che non si aspettava altro. Neanche gli avessi dato una ennesima ragione per vedermi come uno scarto umano o simile.

Vera delusione tracciò il volto di Iris -Oh.- mormorò, prima di tornare a illuminarsi. -Ma forse se insisti, cambierà idea!-

-Oh, lascia stare tuo fratello, Iris.- asserì mio padre, il tono piatto. -Non è bravo a farsi apprezzare dalle persone. Dubito che anche con cento appuntamenti cambierebbe qualcosa.-

-David!- fece mia madre, quasi con un tono scandalizzato. Come se quel genere di cosa potesse essere detta solo dietro porte chiuse e non direttamente in faccia a me e al maggiordomo.

Potei sentire le mie gote ribollire d'imbarazzo e i pugni chiusi tremare ai miei fianchi. Poi mi avviai in silenzio, iniziando a salire le scale per raggiungere la mia stanza.

⬆️⬆️ Ciuffo sull'occhio, prego

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