Epilogo

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La piastrina non vibra nella mattina dell'ottavo giorno

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La piastrina non vibra nella mattina dell'ottavo giorno. Non ne vengo svegliato, mi alzo da solo di mia spontanea volontà. Il che è strano, ma forse neanche tanto?

"Magari dopo le disavventure avute ci permettono di riposare un po'?" penso tra me e me, prendendo un grosso respiro profondo e buttandola fuori, cercando di ricordare come funzionano le mie gambe.

Vi è una quiete estrema e un silenzio totale, quasi bizzarro, nel momento in cui finalmente mi alzo in piedi e mi stiracchio, sollevandomi dal mio letto —non lo condivido più con Stephanie, siccome il materasso sporco di sangue è stato sostituito dopo il nostro ritorno, proprio come tutti i materassi sono stati spostati nelle camere apposite e le porte di esse sembrano essere diventate più piccole— solo per finire con il ritrovare i miei nuovi abiti affianco al materasso.

Li prendo e li indosso, rapido e silenzioso come un gatto, seppur in completa onestà io non avessi avuto neanche freddo in precedenza. Poi scivolò fuori dalla mia stanza.

Il corridoio è vuoto. La stanza principale è decisamente molto più vuota di come era stata nel costante via vai che vi era stato ieri, prima che ci radunassimo verso i nostri letti. Seppur contenti di essere vivi e abbastanza interi, non abbiamo quasi spiccicato parola, troppo stanchi per fare anche solo il più piccolo tentativo. Però ci sono stati alcuni sorrisi e delle sorte di nervosi, ma comunque più rasserenati di quando eravamo andati via 'a domani' e 'notte' condivisi.

Nel mio stare nella sala, perfettamente vuota, perfettamente chiusa in apparenza in tutte le porte eccetto la cucina, decido di andare a darci un occhiata, tanto per.

Dopotutto se è aperta deve significare qualcosa?

"Magari hanno smesso di mollare il cibo dalla scatola che esce dal braccio di ferro e hanno invece riempito la cucina stessa?"

Forse no. Forse sto solo sperando troppo. Altamente probabile. Ma un motivo deve esserci lo stesso, no? Sarebbe strano che in un gioco programmato lascino un fatto del genere così al caso.

" Forse ci hanno messo dentro qualcosa davvero." penso, continuando a stiracchiarmi un po' perché mi sento tutto ammaccato. Una parte di me sussurra che forse dovrei aspettare qualcuno. Che non dovrei andarci da solo. Che una regola principale degli horror è quella di non muoversi da soli.

"Ma una sbirciata e basta? Una controllata prima di andare a mettermi seduto sul divano e aspettare per gli altri? Sarebbe fattibile."

Con tali pensieri che mi ruotano per i meandri della testa, raggiungo dunque la porta. Esito un secondo o due sul posto, una vena di insicurezza che sale e mi fa dubitare della mia scelta, ma poi mi affaccio, guardando l'interno della cucina.

Annaspo sul posto davanti alla visuale, come se avessi ricevuto un calcio dritto dritto nello stomaco e le mie gambe tremano. Le mani mi vanno poi a coprire la bocca, ma fanno ben poco. Fanno veramente, veramente poco.

Non riesco a trattenere l'urlo che mi si forma in gola e che echeggia per tutta la stanza.

Il grido che squarcia l'aria mi fa tirare su a sedere a tutta rapidità, provocando un dolore accecante che mi si sviluppa laddove le ferite mi tracciano ancora la pelle, coperte da garze ben avvolte

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Il grido che squarcia l'aria mi fa tirare su a sedere a tutta rapidità, provocando un dolore accecante che mi si sviluppa laddove le ferite mi tracciano ancora la pelle, coperte da garze ben avvolte.

Seppur con una fatica immonda, mi alzo in piedi e sbuco fuori dalla mia stanza, vedendo Dylan e Valentine uscire da quella dell'albino, il primo ragazzo che sempre lo tiene sulle spalle.

Sarei irritata se non fosse che, comunque... Lo sta aiutando. E lo ha riportato vivo, ovunque si fossero trovati. E senza di lui la sera precedente a stare lì —con lo spostamento dei materassi e il fatto che le porte delle camere si aprono solo sotto la mano di colui a cui appartiene— a mattina per uscire, Valentine si sarebbe dovuto trascinare fuori dalla camera in qualche modo.

Sta cercando di farsi perdonare per tutto il casino che lui e la stronza hanno provocato? Forse. Ma sono comunque leggermente —tanto— arrabbiata.

Però non ora. Non con l'urlo che so che appartiene a Mob che mi risuona nelle orecchie in una sottospecie di loop.

Voglio raggiungerla. Sapere se è in pericolo. Prendere a pugnalate qualunque cosa o chiunque sia che la sta minacciando.

Perciò, indolenzita e agitata, esco e raggiungo la sala principale, seguito dagli altri due alle mie spalle e... Da molti del gruppo che a loro volta slittano fuori dai corridoi in cui vi sono le loro, di stanze.

Non faccio caso a praticamente nessuno. Me li sento attorno, ma in questo momento vedo solo Mob, che  se ne sta davanti alla porta aperta della cucina con un pallore tale che sembra che le abbiano rimosso tutto il sangue dalle vene, gli occhi fissati su ciò che vi è oltre e che appaiono a dir poco terrorizzati.

Mi avvicino a lei. E prima che possa aprire bocca per chiederle qualcosa, anche il mio sguardo cade dentro la cucina, un improvviso giramento che si fa sentire e un brivido gelido che mi scorre lungo la spina dorsale. E la saliva mi si blocca in gola, tutta, mentre sussulti, trattenimenti di fiato, versi strozzati, urla e sussurri accompagnano il tutto.

E non posso. Non posso fare a meno di fissare a mia volta. Non posso fare a meno, perché distogliere lo sguardo è diventato a dir poco impossibile, lo shock che mi paralizza sul posto neanche fossi stata colpita da un fulmine.

Non vi è un pericolo da cui devo difendere Mob. Nessuno che devo infilzare.

No. È già morto, dopotutto. E non sarebbe stato lui il pericolo, in ogni caso.

Irvin.

Il ragazzo è sdraiato a terra in una pozza di sangue, gli occhi vitrei, il petto aperto in uno squarcio molto, molto profondo che mostra ciò che vi è sotto con fin troppa chiarezza.

Ha una mela —la mela. L'unica mela che é rimasta al di sopra del vaso è che nessuno ha toccato. Che nessuno ha provato a toccare— appoggiata alla bocca. Non la ha morsa. Non è in bocca. È solo appoggiata. Le sue labbra sono chiuse.

L'arma del delitto, uno dei coltelli da cucina, é affianco al corpo, praticamente ad altezza della sua mano aperta. Ed è completamente ricoperto di sangue, manico compreso.

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Ventiquattr'ore 2- SinsWhere stories live. Discover now