Capitolo 139- Fondo

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No Pov.

Se prima Dylan stava avanzando circa a un ritmo nella media, ora non può fare altrimenti se non rallentare drasticamente. Non può muoversi senza ritrovarsi sul punto di scivolare o inciampare, venendo costretto a fare piccoli passi indecisi, simili al camminare di un pinguino.

Vi sono buche, spaccature, una discesa che è veramente fin troppo ripida, gli sbuffi di aria calda e la lava che si è avvicinata vistosamente, tanto che Dylan non può non chiedersi se il percorso finirà da un momento all'altro e li lascerà in un piccolo spiazzo circolare di terra nera che affonda a picco.

L'immagine non è spiacevole; di più. Solo il pensiero gli contrae lo stomaco, glielo stringe fino a fargli sentire come se avesse una fiamma che residia in esso e ci ha messo le radici.

Il panico gli invade le vene, scorre in esse al posto del suo stesso sangue. Ma non vuole lasciarsi prendere dal panico. Non vuole rimanere accecato da esso e vedere così, poco al di fuori di esso. Di notare solo il terrore che gli fa sentire gli occhi sgranati e fin troppo asciutti, secchi al punto tale da dargli fastidio.

Passo dopo passo, saltello dopo saltello, continua a procedere.

Non può fermarsi a questo punto. E qualcosa gli dice che tornare indietro sarebbe inutile. Quel qualcosa gli dice che se lo facesse, si troverebbe solo davanti ad una massa di magma rosso-arancio che avanza, pronta ad inghiottire tutti e due.

Non può fermarsi. Non vuole fermarsi. Non lo farà.

Ci sarà pure una qualche uscita da qualche parte. Deve esserci.

O almeno, ci spera.

***

La discesa finisce e il terreno è a una distanza dalla lava di circa tre metri e mezzo. Non di più.

Il magma incandescente rilascia ennesimo fumo, ma adesso é diretto. Così diretto che potrebbero cuocere solo con quello.

Il terreno procede dritto come un ponte... E sottile come uno. Poi va a gettarsi in direzione di un isola di terra molto più larga che sale, con vari scogli bianchi appuntiti —i quali hanno un grande impatto nel loro essere affiancati da tutto quel nero— che d'aspetto sono simili ad ossa, che ne tracciano buona parte dei fianchi. Questo ad esclusione  dell'entrata, la quale è solo terra rialzata senza alcun tipo di recinzione.

Dylan percepisce Valentine alzare appena il capo, cercando di sbirciare oltre, poi la fa ricadere verso il basso, tanto in basso che crolla sulla sua spalla senza lottare neanche contro a tale fatto... E senza emettere un suono.

Ciò lo lascia un po' perplesso e un po' preoccupato, ma si ordina di avanzare. Avanzare fino allo spiazzo di terra con gli spuntoni. Avanzare, metterlo sulla terra alta che si espande a vista d'occhio, senza venir toccata dal magma e tornare a controllare.

Se sta di nuovo male, purtroppo in questo caso non può fare niente. Non è nemmeno sicuro di voler che piova di nuovo, perché qualcosa gli dice che spaccherebbe tutto il buon terreno che vede lì.

Perciò, dopo un breve istante in cui prende un respiro profondo e squadra il sottile ponte —troppo, troppo sottile— si avvia. Si avvia, lento e sempre con il massimo dell'attenzione, cercando di ignorare come la lava sembri fissarlo dal basso e come il terreno appaia assolutamente orrendo e stramaledettamente fragile. Così fragile che pare che soffiarci sopra troppo forte possa distruggerlo.

La tensione sale alle stelle e lui può sentire il suo stesso battito cardiaco tornare a procedere nel suo ritmo tanto malsano quanto innaturale nel mentre che, un piede dopo l'altro, prende ad approcciare l'ultima sfida prima di una possibile —forse, anzi, molto probabilmente momentanea— nuova fonte di sicurezza.

Un passo. Un altro passo. Un altro ancora. Lenti e angoscianti, sentendo lo scrocchiare del terreno sotto la suola e un nodo in gola che rende difficile deglutire.

Passi dopo passi, suoni dopo suoni, batticuore dopo batticuore riesce a superare la metà. Il sudore gli finisce addirittura negli occhi, ma per quanto voglia strofinarsi il braccio contro di essi per scacciare le gocce, non lo fa.

È circa al fondo del ponte quando accade. Quando qualcosa va decisamente storto.

Un punto in cui mette il piede si spacca e lo stesso fa tutto quello che vi è nei dintorni, provocando una vera e propria buca.

Dylan non ha neanche tempo di rendersene conto che si ritrova a cadere verso il basso, le sue braccia vanno ad attaccarsi quasi agli ultimi ai bordi del suolo che sono rimasti, dovendo mollare il punto in cui sorreggeva le gambe dell'albino.

E per la posizione in cui si ritrova, fin troppo inclinato, anche se Valentine tenta di tenere gli arti inferiori attaccati ai suoi fianchi, inizia a slittare giù. L'unica cosa stabile sono le sue braccia, ma anche queste scivolano per il sudore che ricopre entrambi.

Scivolano al punto tale che stanno slittando dalla sua schiena e Dylan ha un mezzo secondo in croce per staccare una delle braccia dal supporto per andare ad afferrarlo per il polso nella presa più di ferro di cui è capace prima che lui finisca con il cadere nel vuoto verso la sua morte. La seconda mano di Valentine cerca di attaccarsi a sua volta, ma slitta giù e rimane dondolante.

Un braccio attaccato alla terra, metà corpo che la sfiora e l'altra che penzola mentre sorregge l'altro ragazzo, si trova a dondolare instabilmente.

Viene avvolto da una nuova dose di vapore che lo fa tossire appena, ma non mollare la presa, poi cerca di tirarsi su a fatica, sentendo i muscoli urlargli contro in tutte le lingue possibili e immaginabili.

Ma non ci riesce. Rischia solo di scivolare a sua volta, tanto che sente il suo cuore perdere un battito quando le sue dita scendono di qualche millimetro nel terreno. Piccole rocce scivolano giù a causa di ciò e ne segue una nuova ventata di vapore bollente.

Lo sguardo di Dylan finisce su Valentine per un istante e vede la sua espressione, in parte tirata, in parte apparentemente apatica. Lo fissa. E mentre il corvino riporta la sua attenzione a ciò che vi è sopra per cercare di capire come diavolo aggrapparsi, lui parla.

-Mollami.- dice, portando l'altro a trattenere involontariamente il fiato. E poi ad ignorarlo drasticamente, aumentando la forza della sua stessa presa senza nemmeno rendersene conto.

-Dylan, mollami!- ripete Valentine, la voce un po' più alta.

Dylan ritorna a lanciargli un altra occhiata rapida prima di rispondere con un secco, quasi abbaiato -Neanche per idea.-

-Se non lo fai cadremo entrambi!- insiste l'albino. E nonostante Dylan continui a sentirlo benissimo nel mentre che parla, lo ignora una seconda volta.

Non ha assolutamente intenzione di mollare la presa.

"Col cazzo che lo faccio." pensa, stringendo i denti, quasi digrignandoli come un cane rabbioso. E continuando la sua ricerca, continuando a cercare di tirarsi su.

-Dylan...-

-No!- urla. -Non mi importa niente se insisti, non mi importa se è quello che pensi giusto, non lo farò.-

E sarebbe stato tutto più semplice da dire se anche il suo polso non stesse diventando estremamente scivoloso.

Il terreno sotto le sue dita sprofonda ancora una volta, ma con essa, lui riesce a trovare una radice. Una radice che inizia a tirare come se non fosse un domani, cercando di sollevarsi ancora una volta, per quanto difficile sia.

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Ventiquattr'ore 2- SinsTahanan ng mga kuwento. Tumuklas ngayon