Capitolo 122- Gabbia D'oro

5 4 7
                                    

Cercai di cancellare le lacrime con rapidi gesti di mano, tirando su con il naso e guardandomi nella superficie luccicante dello specchio, sentendo entrambi i miei occhi bruciare come se stessero andando a fuoco

Oops! Questa immagine non segue le nostre linee guida sui contenuti. Per continuare la pubblicazione, provare a rimuoverlo o caricare un altro.

Cercai di cancellare le lacrime con rapidi gesti di mano, tirando su con il naso e guardandomi nella superficie luccicante dello specchio, sentendo entrambi i miei occhi bruciare come se stessero andando a fuoco. Erano rossi, gonfi dal pianto, tanto che faticavo a tenerli aperti.

Era così frustrante il non essere mai abbastanza. Sembrava lasciare i segni sulla mia pelle, su una parte di me che non riuscivo a cancellare.

Era così terribilmente umiliante il non raggiungere mai le aspettative, mentre Iris riusciva a raggiungerle e superarle con tranquillità, essendo la figlia perfetta, la bambola di porcellana da mostrare a tutti con soddisfazione.

Ero contento che almeno lei non venisse guardata male dai nostri genitori, ma allo stesso tempo la invidiavo.

Avrei voluto essere meglio di come ero. Avrei voluto essere capace di mentire con facilità e farlo sorridendo, incrociare lo sguardo altrui senza sentire l'ansia afferrarmi, essere sotto le loro attenzioni senza battere ciglia. Avrei voluto essere capace di fare tutto quello che i miei volevano, così da vederli contenti, almeno per una volta. Avrei voluto vedere la soddisfazione dipinta nei loro occhi in mia direzione.

Ma le uniche cose che ottenevo erano sguardi freddi e vuoti o di disprezzo, spesso accompagnati da urla.

Quella sera non era stata diversa.

Potevo ancora sentire le grida, seppur non riuscissi ad afferrare totalmente tutte le parole per lo shock. L'impatto della fronte contro il tavolo quando mio padre mi aveva afferrato dietro il coppino e mi aveva sbattuto contro il legno con violenza... Beh, me lo aveva reso un po' difficile. Ma ricordavo un paio di pezzi del discorso, come frammenti di puzzle che si attaccavano al mio cervello e mi facevano sentire anche di più la sensazione di star per avere un mal di testa di quelli iper galattici.

"Fortunato"... "tetto sulla testa"... "sporco bastardo illegittimo". Tutte parole dette velocemente, così veloci da parere venir sputate da una macchinetta.

Presi un grosso respiro profondo, tornando a portare le mani alla superficie del lavandino, sentendo le mie stesse braccia tremare come foglie.  Sentendo il mio respiro uscire fuori in un annaspare disordinato, nuovi singhiozzi che mi scuotevano il petto.

Mi era nuova come cosa. Scoprire di punto in bianco un fatto del genere sarebbe dovuta essere una bomba, tanto capace di lasciare chiunque sgomento quanto si demolire la mente e riempirla di domande, ma per qualche motivo che non mi era chiaro... Io non ne ero così tanto sorpreso. Ero confuso, ma non sorpreso.

Mio padre non era mio padre, ma non si era mai comportato da padre con me.

Mia madre, seppur gelida e distaccata, a volte, ci aveva provato. Ma lui non si era nemmeno azzardato a fare un tentativo.

Non ero nemmeno sicuro che sapesse il mio colore preferito. Non ero sicuro di volere che lo sapesse. O che lo scoprisse, anche se era abbastanza ovvio, contando che molti dei miei vestiti avevano quel colore.

Una parte di me era in conflitto con ciò che rimaneva della mia mente. Ero sempre stato così determinato a renderlo fiero, lo avevo sempre desiderato così tanto... Ma quel sapere al cento percento che avevo desiderato che uno sconosciuto mi apprezzasse suonava improvvisamente stupido.

Volevo il suo affetto, ma allo stesso tempo non lo volevo.

Volevo la stessa gentilezza che riservava per Iris, ma allo stesso tempo avrei voluto rifiutarla nel caso in cui l'avesse offerta, proprio come lui aveva rifiutato ogni mio tentativo. Ogni disegno buttato, ogni ruotare d'occhi, ogni singolo momento in cui avevo fatto qualcosa e per lui quel qualcosa si dimostrava una perdita di tempo perché era 'troppo occupato' per cose del genere.

Volevo che si rendesse da conto da sé, come in un battito di ciglia, di aver sbagliato a trattarmi così e che dunque si scusasse, ma allo stesso tempo volevo urlarglielo in faccia, spedirgli a dietro tutte le grida che lui aveva tirato a dietro a me ogni singola volta che ne aveva avuto l'occasione.

Volevo piangere ancora, ma allo stesso tempo volevo ridere perché, wow, si spiegavano molte cose, in realtà. Molti atteggiamenti strani a cui ero passato sopra senza pensarci troppo su. Mi faceva sentire così stupido solo riportarli alla mente. Erano stramaledettamente ovvi.

Finii con il mollare la superficie del lavandino, andando poi a sedermi con la schiena contro il muro e a guardare in alto, la superficie bianca del soffitto che mi navigava nello sguardo mentre quella morbida del tappetino mi solleticava le gambe.

Afferrai poi il libro che era appoggiato sul mobiletto affianco alla vasca, aprendolo dove vi era il segnalibro: un pezzo di plastica rettangolare con dentro una pagina ingiallita e della polverina azzurra e blu brillantinata che saliva e scendeva nello scuoterlo.

Leggere mi avrebbe distratto. Almeno per un po' mi avrebbe staccato dalla mia stessa vita, dal mondo in cui vivevo, sempre così infame, sempre così paragonabile a una gabbia d'oro soffocante da cui non riuscivo a uscire, un po' per mancanza di coraggio, un po' perché anche se ci avessi provato non sarei andato molto lontano.

***

Il nero è la prima cosa che vedo quando i miei occhi si aprono. O forse non è nero. Forse è un blu scurissimo che sembra nero, come quello di un cielo senza luna e stelle in vista. Non ne sono sicuro.

Non vedo nient'altro. La testa mi fa troppo male.

Percepisco però qualcosa di freddo che mi circonda sia il collo che i polsi. E l'odore di sangue che mi attraversa il naso con un che di estremamente aggressivo, come se volesse scavare dentro di esso.

Pensieri si infrangono nella mia testa come onde, incompleti e poco chiari. Vanno e vengono, appaiono solo per sparire in pochi istanti, lasciando nel frattempo una sensazione di stanchezza nel mio corpo che fatico a sconfiggere.

Mi costringo però a respirare in maniera regolare, prendendo e buttando fuori aria con una tranquillità forzata. Mi costringo anche a tenere gli occhi aperti, seppur pesino come se ci fossero dei massi posizionati sulle mie palpebre.

Mi avvicino le braccia al petto e finalmente realizzo, come in un flash, cosa ho sia sul collo che su di esse. Un collare e delle manette.

👀

Oops! Questa immagine non segue le nostre linee guida sui contenuti. Per continuare la pubblicazione, provare a rimuoverlo o caricare un altro.

👀

Ventiquattr'ore 2- SinsDove le storie prendono vita. Scoprilo ora