Jake

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Nel capitolo sono presenti tematiche delicate quali abusi e violenza. Se siete suggestionabili, non leggete

Mio padre è stato per me l'"assassino",
fino ai vent'anni che l'ho conosciuto.
Allora ho visto ch'egli era un bambino,
e che il dono ch'io ho da lui l'ho avuto.

Umberto Saba; Mio padre è stato per me l'assassino

-Sai chi si è seduto su quella sedia dove sei ora, poche ore fa? Tua madre è venuta a trovarci, voleva disperatamente sapere cosa ti fosse successo. Ha preso un aereo per essere qui il prima possibile, ma la stai ignorando. Perché questa freddezza? Non credi sia giunto il momento di parlare della tua famiglia?-

-Io non ho niente contro mia madre, la amo, ma non riesco a dimostrarglielo. Il mio affetto è stato gelato da lui.

Mio padre è stato per me l'assassino.

Era un gigante che troneggiava dal suo seggio di iracondia, a cui era lecito fare ciò che a me era proibito. Io ero il suo schiavo docile e ubidiente, lui il monarca imperioso.

Stento a credere che un uomo della sua stazza non avrebbe potuto ottenere ciò che voleva da un bimbo gracile e ossuto qual ero, ma mi trattava nei soli modi di cui era capace: con rudezza e austerità.

Sono cresciuto nel terrore di un dio malevolo e vendicatore, con il risultato che sono diventato schivo e silenzioso e fuggivo per la maggior parte dei casi nelle mie fantasie.

Lui era il mio opposto e non esitava a rinfacciarmelo ogni volta che ne aveva la possibilità. Me ne guardavo bene dal rimanere nudo difronte a lui, che con la potenza virile delle sue membra mi schiaffeggiava con la consapevolezza della mia miseria. Aveva gli arti ben torniti, il petto spazioso, la barba folta e l'odore da maschio. Mi derideva perché alla mia età in lui già si vedeva il germe dell'uomo forte che sarebbe stato. Io, inutile dirlo, ero uno scricciolo, una formica insignificante.

Mi trovava ribelle e recalcitrante, ma si sbagliava. Ero il frutto maturo della sua educazione spartana. Ricordo quando una notte, preso dai capricci infantili, mi sono messo a strillare per ricevere le attenzioni di mia madre. Di tutta risposta è entrato nella mia stanzetta, mi ha afferrato per i capelli e mi ha sbattuto fuori il portone di casa. Pioveva e faceva freddo. Da allora fui nutrito dal costante orrore che chiunque avrebbe potuto trascinarmi di forza sotto la pioggia e mi sono sempre sentito una nullità.

Io ero solitario e testardo e chiedevo un po' d'amore. Con questo non gli do la colpa per quello che sono. Voglio solo dire che, se invece di calpestarmi, mi avesse accarezzato la testa e incoraggiato, ad oggi le cose sarebbero andate in modo diverso.

Ero soggetto a un timore reverenziale, ogni mia azione moriva sul nascere se si scontrava con il suo parere contrario. Le fonti della mia felicità erano stille d'acqua sporca se lui le derideva con quel sorrisino diabolico e infernale.

Sedeva sulla sua poltrona, comandava il mondo e mi pareva assurdo che qualcuno potesse disobbedirgli.

Mia madre era mite e arrendevole, mi dimostrava il suo amore vincendo la paura nei confronti del nostro Signore e proteggendomi. Come quando, nelle ore tarde della sera, mi portava la cena che era stata negata coerentemente con l'ennesima punizione corporale. Mi incitava a mangiare in fretta quelle briciole che lui aveva lasciato.

La mia vita da quelle notti fu all'insegna dei suoi rimasugli.

Non si limitava a schiacciarmi con una tonante superiorità fisica e morale, ma si impegnava affinché io e mia madre fossimo incatenati come cani bisognosi in quella casa terrificante. La mia stanza, piccola e spoglia, era diventata il calderone in cui si mescolavano tutte le sofferenze terrene. Da lì, sovente al buio perché non voleva che si sprecasse energia elettrica, ascoltavo la mia dolce mamma piangere amaramente.

Una notte, combattuto il timore della cinghia, sono sgusciato fuori dalla porta e mi sono appiattito dietro la cucina. Ho osservato dallo spiffero lasciato socchiuso l'atto che fu utero fecondo per le mie più selvagge fantasie sessuali.

Lui, con il manico di ferro di un mestolo, batteva mia madre sulle spalle nude. Lei mordeva selvaggiamente i suoi lunghi capelli neri, perché le era vietato urlare. Una spallina del reggiseno strappata scendeva nel solco del petto tumido; la gonna lunga impigliata alle ginocchia la fece cadere con la faccia a terra, nel tentativo di sfuggire all'ennesimo colpo. La caricò sul tavolo e le aprì le cosce, strappandole i legamenti muscolari.

Lei supplicava pietà e si affogava con i capelli che aveva ancora tra i denti. A un certo punto, come quei maiali che si accorgono di stare per essere fucilati e vedono la fine vicina, è impazzita e ha iniziato a prendere a pugni le sue spalle, a scalciare inselvatichita. Sembrava una strega.

Lui le ha sbattuto la testa sullo spigolo del tavolo. A questo punto sono entrato, ma non si sono resi conto di me. Avevo la perfetta visuale per assistere al teatro delle oscenità.

L'uomo che mi aveva generato perforò la donna in cui avevo albergato per nove mesi. I varchi molli e sanguinosi da cui mi ero fatto spazio per osservare la prima luce, furono squarciati. I seni che mi avevano allattato rimbalzavano lividi e doloranti.

Avevo otto anni quando fui iniziato al sesso dallo stupro di mia madre.

Da allora iniziai a masturbarmi con i porno che lui aveva salvato al computer. Erano tutti dello stesso genere: uomini che picchiavano, mortificavano e degradavano altre donne o altri uomini.

Mio padre è stato per me l'assassino.-

Profilo Instagram:
@jakeeeallen

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