Elsa✔

662 88 34
                                    

-Stanotte mi sono tagliata. Non ci sono ragioni del perché io l'abbia fatto, almeno, non ragioni rilevanti. Ero a tavola e un piatto caldo di salsicce esalava il suo fumo sui miei occhiali da lettura. Mio padre si è lanciato in un monologo infinito sull'ingratitudine di Dana e delle donne in generale. Ho provato a rispondergli, ma mi sono accorta che era come se al suo fianco non ci fosse nessuno. Ero disgustata e mi sono ingozzata con le salsicce. Ne erano un paio, sottili, le ho ingurgitate quasi intere e le ho sentite sprofondare nella mia pancia. Le ho immaginate avvolgersi lungo la discesa nel mio intestino. Ho bevuto metà bottiglia d'acqua e mi sono alzata. Mi sono chiusa in bagno, ho sollevato la tavoletta del water e ho vomitato. È stato difficile perché ho dovuto stimolarmi l'ugola più volte, sopra e sotto, solleticando la parte di pelle inferiore. Finalmente un bolo di cibo è caduto nell'acqua del cesso. Paffete. Ho tirato lo sciacquone e mi sono lavata i denti, intanto guardavo i miei occhi lacrimanti e arrossati, le ciglia umide attaccate tra di loro. Amo vomitare, mi fa sentire come se cacciassi fuori lo schifo che ascolto. Ho aperto il cassetto del mobile del bagno, ho preso le forbici per capelli dalla loro custodia, mi sono alzata la manica della tuta e ho fissato la parte del mio braccio intessuta di vecchie cicatrici. Ho alzato la manica fino alla spalla, più sopra c'era spazio, centimetri quadrati di pelle intoccata. Ho infilato la punta nella carne, ho spinto e ho fatto scattare la lama in basso. Ho ripetuto il gesto per tre volte, goccioline di sangue hanno puntellato i graffi bianchi, ma era ancora poco. Nello stesso cassetto c'era un pacco di rasoi, di quelli in plastica usa e getta che nuociono al pianeta. Ho spaccato la plastica attorno alle due lame con le forbici e, finalmente soddisfatta dell'arma ottenuta, l'ho fatta combaciare per tre volte sugli stessi punti scalfiti dalle forbici. Finalmente i tagli si sono aperti e un grumo di sangue è piombato sul pavimento. Paffete. Ci ho posato sopra la mano e mi sono guardata allo specchio, perché ero bellissima e anche i miei occhi erano venati di sangue. Mi sono appoggiata al muro con la fronte e ho provato a piangere, neanche una lacrima. Per quanto ne sentissi il bisogno, non ci sono riuscita. Ho riso e pensato oh mio Dio, sono così sola. E rimarrò sola per sempre, perché io voglio così. Ho un desiderio irrefrenabile di parlare di ciò che sento a qualcuno, di confessare ogni mia più piccola perversione, ogni attimo in cui penso alla morte, ma non lo faccio mai. Non lo faccio perché credo di essere superiore a tutti, che nessuno potrà mai capirmi perché sono troppo intelligente, perché il mio è un dolore talmente forte e atroce da essere inaudibile, come quei fischi impercepibili all'orecchio umano. Però vorrei qualcuno che mi riscaldi e il mio animo, contrariamente al mio corpo, è costantemente alla ricerca di amore. Come può amare una persona come me? Che non ama nessuno al di fuori di sé, che non odia nessuno al di fuori di sé. Che aiuta gli altri per noia, ma li lascerebbe morire uno ad uno.-


Elsa parla alla videocamera, fissa il suo piccolo viso nell'obiettivo. L'ascella, il fianco e il braccio sono scivolosi, il sangue sta impregnando i vestiti.


-Penso continuamente alla morte. Sono nata pensando di tornare indietro. Da bambina, a casa dei miei nonni, correvo sul balcone del quinto piano e mi aggrappavo alle sbarre, desiderando di gettarmi di sotto. La sciocca idea di volare non mi sfiorava nemmeno il cervello. Ciò che mi eccitava era la morte. E ci pensavo anche mentre giocavo, quando le mie bambole finivano con gambe mozzate e occhi bucati: a loro spettava una morte dolorosa, l'avrebbero sentita di più, sarebbe stata indimenticabile. Sbattevo la testa sul pavimento, infilavo spilli nelle mie ginocchia, mi staccavo i capelli, avvicinavo le sigarette accese di mio padre sulle dita dei piedi. Sa qual è la parte divertente? Che non ho avuto nessun trauma. Partiva tutto dalla mia testa, autonomamente, come una scheda di memoria inserita in un telefono acceso per la prima volta.-

-Chiedi aiuto, Elsa. Hai già provato una volta ad ucciderti e stavi per morire. Io sono qui per te, come i tuoi professori e i tuoi amici.-

-Io non voglio nessuno, mi scocciano tutti, anche Drew è passato di moda per i miei sentimenti. Ci sono certi rapporti tossici che sarebbe meglio spezzare per la propria sanità mentale. Mi faccio trascinare nei suoi problemi così mi dimentico di me stessa. Ho una sorta di spirito megalomane che si compiace nell'aiutarlo e nel sentirsi contemporaneamente in rovina.

Mi ha inviato un messaggio chiedendo aiuto, mi aspettava alla stazione abbandonata, si è raccomandato di raggiungerlo con un taxi. Ci siamo incontrati, passeggiava freneticamente sui binari interrotti e aveva un occhio nero.

"Mi stanno cercando, sono in debito di un mucchio di soldi da quando ho perso una partita di droga. Mi hanno minacciato, se non restituisco fino all'ultimo centesimo mi ammazzano."

Aveva il fiato corto e qualche goccia di sudore freddo gli scendeva sulla fronte.

"Devi calmarti" mi sono seduta sui binari "Dobbiamo risolvere la situazione."

"Io non ho quei soldi, Elsa. Lo sai benissimo che la mia famiglia è ancora impicciata nello scandalo, se questa faccenda venisse fuori sarebbe la fine per il nostro cognome. Il figlio degli Evans: spacciatore e drogato."

"Infatti nessuno dovrà saperlo. Ho un'idea che ci permetterà di uscirne assolutamente puliti. Sappiamo entrambi che Lukas ha un problemino con le cose che luccicano e che suo padre è a capo di una delle chiese più ricche della città. Coppe, croci, seggi, anelli...tutto d'oro massiccio. Potrebbe rubare per noi, passerebbe come un furto di ladri abilissimi che sono riusciti a penetrare all'interno della chiesa, quando in realtà il colpevole è il figlio cleptomane del pastore."

"E come potremmo convincerlo? Ti ricordo che sia tu che io lo abbiamo allontanato."

"La cosa fantastica di Lukas è che più lo tratti male, più ti si affeziona. Se fossimo noi due a domandarglielo, cederebbe quasi subito."

Ho fatto intrecciare le nostre dita, in quell'istante mi si affacciò una domanda fastidiosa: Ne vale la pena?

Mi sono costretta a non pensarci. Se non per Drew, per chi dovrebbe valerne la pena?

Il nostro egoismo avrebbe distrutto Lukas.

Con un secondo taxi ci siamo presentati da lui. Non si è fatto aspettare neppure un minuto, era già sulla soglia di casa per accoglierci. Credeva che fossimo lì per scusarci e offrire la nostra amicizia.

"Non possiamo parlarne qui, meglio fare una passeggiata. In casa le pareti ci ascoltano" ha consigliato Drew, voltando le spalle senza neppure salutarlo. Non sa proprio cosa sia l'affabilità.

Lukas ci ha seguiti in silenzio, ho introdotto la questione "Ci dispiace per quello che abbiamo fatto, per come abbiamo buttato nella merda la nostra amicizia. Tu conti molto per noi, Lukas. Ci sono state delle incomprensioni e potremmo recuperare, ma se non ci aiuterai sarà la fine. Non esisterà futuro per noi."

"Ditemi cosa è successo, per favore."

Ho sorriso amabilmente e gli ho preso la mano. Cosa sono diventata? Falsa e ipocrita, ho avuto anche il coraggio di criticare Loren. E perché ho sporcato la mia coscienza? Per Drew e per i suoi problemi con la droga.

Raccontavo l'intrallazzo di armi ed eroina a Lukas come una mamma che tesse le fila di una storia di giganti e fate.

"Se non ripaghiamo il debito entro domani sono morto" ha aggiunto Drew, che non lo guardava nemmeno in faccia.

Lukas si è seduto sul marciapiede, come se le sue lunghe gambe non lo reggessero più e si è nascosto la testa tra le mani. È rimasto così per un tempo imprecisato, immobile e silenzioso. Quando all'improvviso ha annuito e con sforzo estremo è riuscito a tirarsi un filo di voce da bocca "Farei di tutto per mio fratello".-

Instagram:
@elsaabianco

StayDove le storie prendono vita. Scoprilo ora