47. La Lettera | Goldrake

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Buonasssera
Buon 2022!
Avevo in mente da tempo discrivere questa ff, ma ne ho approfittato per metterla per iscritto ora per tirare su di morale una mia amica fan di Goldrake che ha dovuto fare il capodanno in quarantena da sola.
Enjoy~

-♥️-

Categoria: What If
Fandom: Goldrake
Ship: Actarus x Alcor
Rating: Verde
Sequel di La Resa di Goldrake

-♥️-

Erano passati pochi giorni da quando Actarus, Alcor e Venusia avevano sconfitto Vega. Actarus ancora si stava riprendendo dai mesi infernali che aveva trascorso e quella notte, come i giorni prima, si ritrovò a passeggiare fuori dall'osservatorio, lasciando che il vento fresco gli togliesse di dosso i ricordi sgradevoli.

Continuava a ricordare. Non voleva, ma non poteva farne a meno: continuava a ricordare quei mesi. Il dolore che gli aveva dilaniato l'animo. La vergogna di certi orrendi momenti. Le lacrime perché aveva continuato a vedere i suoi amici quando non poteva svenire.

Non erano ancora guarite, le sue ferite, né quelle fisiche né quelle psicologiche. Non era nemmeno certo sarebbero mai guarite del tutto.

Si passò una mano tra i capelli, pensando distrattamente che avrebbe dovuto tagliarli. Gli arrivavano quasi a metà schiena.

«Actarus?»

L'uomo si girò e alzò le sopracciglia per la sorpresa.

Era convinto di aver avuto un'allucinazione uditiva come già ne aveva avute, ma sapeva che l'Alcor che vedeva era più che reale. Non poteva che esserlo quello che camminava verso di lui, con addosso una coperta. Come lui.

«Alcor?» chiese a sua volta. «Che ci fai qui?»

«Io... Beh, speravo di vederti.»

Actarus lo guardò un momento, confuso. «Vedermi? A quest'ora?»

«Beh, sì. Sai, almeno di notte si può avere un po' di privacy.» rispose Alcor. Teneva in mano un foglio di carta arrotolato.

Sapeva cos'era. Era la lettera che gli aveva scritto prima di partire. La ricordava a memoria.

Caro Alcor, 

Sto scrivendo questo messaggio di fretta. Non ho molto tempo... Ce l'avrei, in realtà, ma voglio evitare tiri mancini da parte del re Vega. Lo sai, l'ho detto ad alta voce, meglio partire subito.
Non sono lieto di dover partire. Non vorrei che tu pensassi il contrario vedendo la mia fretta... Non sono lieto. Non potrei esserlo.
Non so cosa mi aspetta. O meglio, in parte lo so, ma preferisco non pensarci finché non sarò sulla luna. Niente di buono, comunque, lo sappiamo entrambi.
Non m'importa. Amo questo pianeta. Amo gli esseri umani. Amo tutti voi, amo essere qui. Dopo Fleed, ho trovato un posto che sento davvero essere una casa. Non avrei mai permesso qualcuno la toccasse.
Ascolta, però, Alcor. Anche consegnandomi a Vega, io credo le incursioni prima o poi riprenderanno. Vega non rinuncerà alla Terra, o almeno non rinuncerà a tenerla nel panico. Se questo dovesse succedere, puoi approfittare dei minidischi. Sono alla portata della tua navicella, puoi non distruggerlo ma costringerlo ad atterrare e prenderne il controllo. Con quello potreste raggiungermi, liberarmi, addirittura, se siamo molto fiduciosi. Io non lo sono, ma ti conosco, Alcor. So che tu tenterà comunque. Non è un piano completo, ma può essere uno spunto... Sperando ti sia utile.
Spero non si renda necessario... Ma non mi fido. Vada come vada, non mi tiro indietro, non dopo aver visto l'artiglieria di Vega. Disintegrerebbero ogni cosa e la mia presenza non farebbe alcuna differenza. 
So che farà male a tutti la mia partenza, a te in particolare, ma come ho detto, non voglio che ciò che amo venga distrutto.
Sì, sono consapevole del verbo che sto usando a. Amare. Forse sembrerà strano che io lo usi anche per te, ma prima o poi dovevo dirtelo.
Ti amo, Alcor. Forse per il resto delle cose che ho elencato è più corretto dire che "ci tengo". Quello che provo per te è diverso.
Non trovo particolarmente piacevole dovermi... Dichiarare così. Non permettendoti una risposta.
Preferisco così. Vega farà di tutto per distruggermi e privarmi della speranza... Non voglio dargli qualcosa di succoso su cui lavorare.
Volevo comunque fartelo sapere.
Ora è il caso di chiudere questa lettera. Forse in futuro avremo tempo di parlarne, se vorrai.
Statemi bene.

Actarus.

Aveva sperato di tornare indietro, ovviamente, ma non aveva pensato a quel particolare. Al fatto che avrebbe dovuto dare spiegazioni a riguardo. Al fatto che Alcor l'aveva letta davvero, quella lettera (per fortuna, o non sarebbe mai tornato indietro).

Non gli importava di essere ricambiato, alla fine: ciò che voleva era che non si allontanasse da lui. Non voleva di nuovo restare solo.

Alcor parve finalmente trovare le parole che stava cercando, continuando a guardare il foglio nella sua mano.

«Quello che hai scritto… Non lo hai detto per prendermi in giro, vero?»

«Ti ho mai preso in giro fino ad ora?» chiese Actarus senza riuscire a guardarlo. Dopo un momento riuscì a riportare gli occhi su di lui.

«Non ti ho preso in giro. È vero quel che ho scritto.»

Un altro respiro. L’idea di dirlo ad alta voce gli faceva venire i brividi, ma sapeva di doverlo fare. Di dover dimostrare che non aveva scritto in preda all'ansia.

«Io ti amo, Alcor. Da un po’, da prima di questi mesi orribili, ma… Non sapevo se era il caso di dirtelo. Non volevo essere la causa di un nostro allontanamento. Non voglio tutt’ora. Te l’ho scritto per… per levarmi un peso. Qualcosa su cui magari… su cui magari Vega non avrebbe potuto fare leva per farmi del male.»

Tacque. Avrebbe voluto dire tante cose, ma non sapeva da dove iniziare.

Alcor parlò al suo posto. «Questi mesi sono stati brutti per me. Tu non c’eri e l’unica cosa che avevo era un piano e una confessione. Una confessione che non potevo ricambiare perché tu non c’eri. Non volevo uscire dalla camera, sono grato a Righel per aver insistito a provarci. L’idea di rivederti mi ha permesso di andare avanti, Actarus… Perché volevo risponderti.»

Si avvicinò a lui e gli prese il volto tra le mani. Il cuore di Actarus iniziò a battere all’impazzata, poi gli parve di sentirlo fermarsi quando Alcor lo baciò.

Chiuse gli occhi e socchiuse la bocca, desideroso per la prima volta dopo anni di assaporare qualcuno.

Alcor approfondì il bacio con cautela. Non era sicuro di fin dove poteva spingersi, visto cos’era successo ad Actarus.

Quando si separarono Alcor sussurrò: «Ti amo anch’io, Actarus. Avrei voluto dirtelo.»

«Mi avrebbe spezzato il cuore lasciarti sapendolo.» disse Actarus dopo un istante, le guance ancora arrossate. Poi gli sorrise e aggiunse: «Ma sono felice di saperlo ora che posso restare.»

Lo abbracciò, avvolgendolo con la coperta che si era portato dietro contro il vento freddo.

Per un momento nessuno dei due parlò, poi Alcor disse: «Mi viene difficile dormire da quando ti abbiamo salvato. Continuo a vederti coperto di ferite e svenuto sul tuo robot.»

«Possiamo dormire insieme se vuoi.»

Actarus aveva avanzato la proposta senza pensarci, ma si accorse che lo voleva. Magari avrebbe dormito bene anche lui.

«Non ti dà fastidio?» chiese Alcor, sperando evidentemente in un diniego.

«No. Anche io faccio fatica a dormire. Continuo a sentire dolore… e a vedere Vega.»

«Beh, ci possiamo fare compagnia anche da svegli.»

Actarus sorrise e lo accompagnò in camera sua. Appoggiarono entrambi le coperte su una sedia, poi si infilarono sotto le lenzuola. Il letto non era per due persone, ma ci si stava se si era abbracciati.

Fu Alcor ad abbracciare Actarus per primo, invitandolo ad appoggiarsi contro il suo petto. L’uomo tentò di rifiutare, ma si accorse di essere comodo e di non volersi in realtà spostare, così, semplicemente, non lo fece.

Chiuse gli occhi, inspirando il profumo di Alcor.

Fu quest’ultimo il primo ad addormentarsi, ma non ci volle molto prima che anche Actarus lo raggiungesse nel mondo dei sogni, riuscendo finalmente a dormire.

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