'Save a prayer' di gemmamilevi89

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Titolo: Save a prayer

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Titolo: Save a prayer

Autore: gemmamilevi89

Genere: Casuale

Stato: Racconto di 19 capitoli - Completa

Classificazione dei contenuti: G/PG

Tematiche forti/Contenuti per adulti: Descrizioni molto vaghe di un rapporto sessuale, niente di cui scandalizzarsi.

Trama: In una serata estiva, una ragazza guarda fuori dalla finestra di casa sua e rivede un ragazzo, con cui aveva avuto una notte di passione. Con un balzo nel passato, ripercorriamo gli avvenimenti che li aveva fatti incontrare. Ma perché lui è tornato? Liberamente ispirata ad una canzone dei Duran Duran.
Disclaimer: Copyright © 2015 Gemma Milevi. Tutti i diritti riservati. La storia è liberamente ispirata dalla canzone "Save a prayer" dei Duran Duran.   

Cos'è per me il femminismo?

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Cos'è per me il femminismo?

Premetto subito che il termine "femminismo" - così come tutte le parole che terminano con un "ismo"- non mi piace, perché in un certo senso presuppone un'estremizzazione dell'idea, che trattata dal vostro punto di vista ritengo invece altamente nobile, oggi più che mai. Penso che sia arrivata l'ora di far cadere i "dualismi", dover sempre paragonare e misurare concetti opposti, dover sempre fare confronti: uomini e donne devono essere misurati non in base al loro sesso/genere, ma in base al loro valore in quanto persone, indipendentemente dal fatto che indossino un reggiseno o meno. Conosco tante brave persone che sono tali per il loro modo di ragionare e comportarsi. Occorre imparare a giudicare le persone in base alle loro azioni, solo ed esclusivamente da quello.
E non mi piace neanche la frase "Siamo nel 2016 e ancora ci sono uomini che pensano che le donne siano esseri inferiori" e variazioni sul genere. Pensandoci bene, siamo "solo" nel 2016: sono meno di cento anni che le donne hanno il diritto di voto e solo nei Paesi con cultura occidentale. Le donne guadagnano meno a parità di titoli e posizioni.
In Italia, l'abolizione del diritto di onore è avvenuta solo negli anni 80 del 900. Per l'evoluzione della società e della cultura questo è un periodo di tempo troppo breve e tutto ciò che sta succedendo ne è la prova: tutte le morti per i "o mia o di nessun altro", i silenzi sulle violenze in famiglia perché "i panni sporchi si lavano in casa".
E di certo noi donne, single, fidanzate, mogli o madri non ci aiutiamo, criticandoci l'un l'altra, sempre pronte a puntarci il dito contro: se una fa figli presto, se una non li fa, se una li fa troppo tardi, se una pensa alla carriera, se una fa la casalinga, se ha la gonna troppo corta o troppo lunga, troppo grassa, troppo magra, poco "sottomessa", troppo libertina. Le prime a metterci etichette troppo strette siamo proprio noi: le single criticano le sposate, le suocere criticano le nuore, le vecchie criticano le giovani, le lavoratrici criticano le casalinghe, e viceversa. E feriscono molto anche i "pregiudizi" sulla maternità: ancora oggi, scegliere di abortire, di non avere figli o di non accettarli sono colpe imperdonabili per una donna, indipendentemente da quale sia il motivo che l'ha portata ad una decisione del genere. Così come un uomo non si realizza solo come "padre", una donna ha lo stesso diritto di non essere giudicata se non si realizza come "madre" e se il fulcro delle sue giornate non è la prole.
Essere femminista (nel senso buono del termine) credo debba essere semplicemente saper riconoscere meriti e colpe a tutti, indipendentemente dal loro genere/sesso. Il metro di misura deve essere sempre lo stesso, sia per le donne, che per gli uomini.
Hai avuto 100 partner diversi in una sola settimana di vita? Sei uno/una sconsiderato/a.
Hai importunato una persona in tram, toccandole volontariamente parti del corpo che solitamente non si toccano a degli sconosciuti? Sei uno/una sconsiderato/a.
Hai fatto commenti pesanti o sprezzanti di qualsiasi natura ad un'altra persona? Dimostri agli altri che sei di una pochezza intellettuale senza limiti.
La vera libertà dovrebbe consistere nell'essere ciò che si vuole: lavoratrice, madre, madre-lavoratrice, single, sposata o eterna fidanzata.
Ciò che mi rende speciale è il mio essere "persona", il mio agire, le mie scelte. Ad un colloquio di lavoro, mi si deve chiedere perché ho scelto il corso di studio X piuttosto che l'Y, non se e quando avrò intenzione di fare figli.
E il mio essere fiera di ciò che faccio non deve essere un piedistallo su cui mettermi per giudicare gli altri.
Non credo che poter girare di notte da sola con la minigonna o un top scollato sia un traguardo da femministe. Poter essere tranquille per strada di notte sarebbe già di per sé un grande passo avanti per la nostra cultura, ma non è una "questione da donne", è una questione di civiltà, un arricchimento per tutti.
La nostra società ha bisogno di uno scossone in questo senso: passa molto il messaggio che essere donne emancipate significhi potersi comportare come si vuole, senza dignità e senza limiti. Che non ci si deve giudicare per una gonna troppo corta o per una scollatura azzardata. Ritengo che questi siano sì un passo verso la "libertà", ma allo stesso tempo sia un modo per continuare a portare avanti la mentalità "maschilista" e commerciale della donna-oggetto, il cui valore si misura letteralmente con quanto c'è di coperto/scoperto, se l'apparenza rientra entro certi standard e se le sue aspirazioni sono solo apparentemente non imposte. 

Come la mia storia contribuisce all'iniziativa?

Per quanto riguarda la mia storia, mi piacerebbe potesse far parte della selezione "Writher" perché è la protagonista che manda avanti la storia.
Nei miei anni di studio, ho potuto apprendere che per certi critici di libri e di film, il livello di "femminismo" viene misurato dallo spazio occupato da personaggi femminili: oltre al sesso di chi ha il ruolo principale, altri indizi sono quanti dialoghi tra donne ci sono, quante volte una donna compie delle azioni. In "Save a prayer", la protagonista senza nome è il motore unico della storia: lui le dà uno sguardo distratto, ma lei fa partire tutto il meccanismo che dà vita alla storia, chiede, decide e in un certo senso impone le sue scelte fino alla fine.
All'apparenza, può sembrare la "finta" brava ragazza che si lascia corrompere, ma leggendo attentamente è sempre lei la burattinaia, che muove i fili, all'inizio quasi inconsapevolmente, poi, sembra quasi prendersi gioco dell'altro. Alla fine però, ritorna sui suoi passi e decide di non cedere più. Un taglio netto e brusco un po' perché ha capito di aver sbagliato, un po' perché sa di non volere né meritare una storia di seconda categoria.  

Estratto:
Dal capitolo "The Morning after"
"[...] Lui le passava le parti della sua armatura, lei lo aiutava a sistemare il letto.
Alla fine si erano scambiati solo qualche frase. Quando lei aveva chiesto dove fosse il bagno e lui le aveva risposto:
- Di là.
Quando lui le aveva chiesto se volesse un caffè, appena uscita dal bagno, e lei gli aveva risposto:
- No, grazie, portami a casa, per favore.
Diretta e tagliente, per nascondere la difficoltà di lasciare quel paradiso.
Lei si stringeva le braccia attorno al busto, in piedi davanti a lui, solo il tavolo li separava.
Lui aveva pensato che con la luce del giorno lei aveva indossato di nuovo l'armatura di incorruttibilità e che non l'avrebbe mai più vissuto - l'iceberg infuocato che aveva visto stanotte.
Si erano guardati negli occhi ancora per qualche minuto, lasciando trasparire un unico rimpianto: di essere le persone giuste al momento sbagliato.
L'unico senso di colpa era quello di non essersi incontrati prima.
Era stata lei la prima ad interrompere questo nuovo scambio di sguardi e lui era stato costretto ad accontentare di nuovo una sua richiesta, questa volta la più sensata al mondo.
Ancora silenziosamente, erano saliti di nuovo nella macchina di lui. Con un gesto automatico, lui aveva acceso la radio. Evitavano di guardarsi negli occhi, ma era diverso dall'evitarsi della sera precedente.
Lui, per cercare di placare questa tortura, le aveva chiesto dove fosse casa sua.
Continuando a non guardarlo, lei gli aveva risposto un po' troppo gelidamente che la macchina ce l'aveva dall'amica che abitava in centro e che si sarebbe arrangiata a tornare a casa.
Lui si era limitato solo ad annuire con un movimento della testa.
Arrivati alla macchina di lei, continuava ad esserci lo stesso imbarazzo.
La città era silenziosa: dopo tutto erano solo le sette del mattino di una qualsiasi domenica invernale.
Dovevano lasciarsi andare, allontanarsi, ma nessuno dei due aveva il coraggio di fare il primo passo. Non avevano neanche il coraggio di guardarsi.
Lui non aveva neanche spento l'auto, che continuava ad inquinare, mentre cercavano in qualche modo di dirsi addio.
Lei cercava le chiavi della sua macchina nella borsa senza cercarle veramente.
Di nuovo era stata lei a prendere il toro per le corna, trovare le chiavi che aveva sempre avuto a portata di mano e a girarsi a guardarlo.
Anche lui era obbligato a guardarla, e lei, spinta ancora da una forza insaziabile, gli si era avvicinata per lasciargli l'ultimo bacio, sperando davvero che lo fosse.
Entrambi si erano assaporati fino in fondo di nuovo, imprimendo i loro odori nella mente per l'ultima volta.
Lei gli aveva accarezzato la barba un po' più pungente, non appena si era staccata da quel bacio. Bruscamente lo aveva ringraziato per il passaggio e gli aveva detto un "ciao" sussurrato, scappando via dentro la sua armatura.
[...]
Anche lei continuava a sentire l'odore di sigaretta di lui sulla sua sciarpa. Si stupiva sempre di come le sciarpe assorbissero così tanto gli odori. Si era detta che non l'avrebbe più lavata, ben sapendo invece che sarebbe stata la prima cosa da fare appena fosse arrivata a casa.  

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